Valerio Bianchini, nel dibattito di Repubblica su come modificare le regole del basket, è stato sentito da Emanuela Audisio. Un estratto dell’intervista.

“Questo è un basket populista che annulla le competenze degli allenatori, valorizza la sprovvedutezza e l'inadeguatezza. Il basket non è il calcio, è un gioco complesso, non naturale, on demand. E indoor. È stato inventato nei college, nel 1891, per tenere occupati i ragazzi anche con le intemperie. Lo insegnavano i professori, che sperimentavano e innovavano. Non si fonda sull'istinto, ma sull'apprendimento dei fondamentali. Mi dicono: il tiro da 3 punti semplifica, è chiaro e comprensibile, piace alla gente. E allora? Se c'è gente sempre meno acculturata devo svilire il mio linguaggio al buttalo dentro come puoi?
I legislatori hanno sempre cercato una compensazione: i 3” nell'area sono stati introdotti per evitare che i lunghi stazionassero e dominassero sotto canestro, si è passati dai 30 ai 24”, tempo valido per segnare, perchè ad inizio anni '90 si perdeva tempo fino al 28” e così le partite finivano con un punteggio basso tipo 53-51. È cambiata la morfologia degli atleti: ormai sono tutti giganti, intasano l'aerea, non ci stanno più. Come Gulliver nel regno di Lilliput.
Io alzerei il canestro, che ora è a 3,05. Ripeto: il basket non è il calcio e nemmeno il football americano dove nell’NFL il quarterback riceve direttamente lo schema via auricolare dall'head coach, mentre sul parquet il vero lavoro lo fanno i giocatori in campo decidendo il giro di palla migliore per portare il compagno ad un tiro sicuro”

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