Il coach della Virtus Sasha Djordjevic è stato ospite della diretta LIVE di Eurodevotion.

Un estratto delle sue dichiarazioni.

Sul confronto delle sue soddisfazioni da giocatore e da allenatore…

«Da allenatore non sono mai soddisfatto, anche subito dopo una vittoria io penso alla gara successiva da vincere. Non sono mai contento. I giudizi li lascio agli altri. Come giocatore sono stato questo, quello che ho fatto è lì, sono orgoglioso di tutto quello che ho fatto. E’ quello che potevo fare, ma c’erano anche gli avversari…»

Sulle vittorie in Eurolega che potrebbero mancargli… «No, non mi mancano, c’è abbondanza di Korac e di medaglie…»

Sul passaggio dal campo alla panchina ed il vantaggio di essere stato un playmaker… «Mi ha aiutato tantissimo perché ero già da giocatore uno studioso del gioco. Non ero un atleta dominante, quindi dovevo fare del mio IQ cestistico la mia caratteristica principale. Una volta ritirato, guardavo le partite dagli spalti, ma quando scendevo sul campo vedevo che c’era un tocco magico nella mia anima ed allora il fuoco si riaccendeva.

Sul “vizietto” di mettere spessissimo i tiri decisivi in carriera… «Non ho mai finito un allenamento od una partitella ai giardinetti senza allenare questi tiri, inventandomi ogni cosa possibile. Ma come dice Michael Jordan ne metti tanti tanti perchè ne hai sbagliati anche tanti. La fiducia poi te la devi guadagnare dai compagni ogni giorno lavorando. Quello contro la Croazia di cui abbiamo parlato, piuttosto che quello contro la Joventut per vincere l’Eurolega sono tra quelli che ricordo di più, senza dimenticare quello di Ruben Douglas a Milano, con lo scudetto della Fortitudo all’instant replay. Quelli sbagliati? Mah, tanti, ci sono stati ma non li ricordo in particolare. Come dite voi “chi di spada ferisce, di spada perisce”…».

Sul passagio diretto da Barcellona a Madrid e, non immediato, dalla Fortitudo alla Virtus… «Professionalità è la parola chiave, è l’unica cosa che si può realmente misurare insieme alle statistiche e le persone attorno a te la apprezzano e la possono valutare. C’erano motivi particolari, ad esempio a Barcellona Aito non mi ha voluto confermare ed allora ho fatto le valigie e sono andato dove mi volevano».

Sulle emozioni del ritorno a Belgrado con la Virtus e quella “standing ovation” infinita… «Un grande orgoglio. E’ stato speciale, per me cresciuto come tifoso del Partizan di Kicanovic e Dalipagic. E’ stata una serata di cui sarò eternamente grato: quei 18 mila non sanno quanto orgoglioso mi hanno reso e resto in debito con loro. Il Partizan è sicuramente la mia squadra del cuore».

Sull’arrivo alla Virtus ed il processo di crescita del club sotto ogni punto di vista… «Dal primo contatto ho sempre espresso la mia visione su dove la Virtus debba andare ed a cosa debba aspirare. La crescita deve essere legata al fatto che c’è una storia che va sfidata e sto cercando di farlo. Ho trovato una squadra che era tra le ultime negli assist, che vuol dire non giocare insieme, che si giocava per troppe cose personali, ma la Virtus deve avere come valore più importante la crescita societaria e gli obiettivi sportivi, cioè raggiungere le finali e vincerle. La Champions è stata ottima per qualità di gioco e per come stavamo insieme. In estate abbiamo disegnato un certo inizio che deve essere il futuro prossimo, aggiungendo i veri artefici che sono i giocatori. Abbiamo aggiunto qualità sul campo, per gli obiettivi e la visione del gruppo Segafredo e del Dottor Zanetti. La Virtus deve avere continuità ad alto livello. Spero di aver trasmesso la mia “pazzia” di cercare di giocarsela sempre coi migliori».

Sulla rivalità crescente con Milano, le schermaglie dialettiche con Messina ed i vantaggi che può dare al basket italiano… «Milano è una società gloriosa, tra le principali in Europa, con un proprietario che continua a credere in questo bellissimo gioco,. E’ un duello che tutti vorrebbero vedere. Ma senza dimenticare il grande lavoro di una bella realtà come Venezia, basta vederi i risultati, il ritorno di grandi piazze in A come Treviso, la stessa Fortitudo, poi c’è sempre Sassari. Ok il duello ma ciò che fa la differenza sono i campioni ed è bello vedere oggi il ritorno di Messina come l’arrivo dei vari  Teodosic, Scola, Rodriguez che sono quelli che dobbiamo continuare a riportare in Italia come ai tempi di Dawkisn, McAdoo, Sugar, Rivers, Wilkins, Kukoc, Radja, tutta gente che faceva la differenza nel mondo. Noi abbiamo scommesso su un campione come Teodosic che ha fatto crescere gli altri e tutto un ambiente che ha capito che si cresce attorno ad uno come lui. Da lì la gente si innamora, i media scrivono… Noi siamo accessori come gli spoiler sulle macchine: non bastano quelli, è necessario che ci sia una base ed allora possiamo rendere la macchina più bella».

Sull’importanza di Markovic come equilibratore di squadra ed in coppia con Teodosic… «Sono molto diversi ma stanno in campo benissimo insieme. Uno con un talento imprevedibile totale, l’altro con un carattere d’acciaio, l’animale che cerca le prede in ogni momento sul campo. E’ un mix che mi piace piace da sempre. Ottima stagione fatta, ma ce ne aspetta un’altra, forse anche la fine di questa, quindi c’è tanta strada da fare».

Su Pajola, che a noi ricorda, nella postura difensiva, Diamantidis… «Ora lui sa cosa deve fare, abbiamo impostato un lavoro che non lo fa scappare dalla palestra neanche un giorno. Il grande ostacolo dei giovani arriva dopo il salto dalle giovanili, quando entrano nella competizione vera in cui i corpi sono incredibili ai livelli più alti. La fisicità è il mio obiettivo numero uno per tutti i giovani. Ma lasciamelo in pace, non mettergli un marchio come Diamantidis… Diamogli un obiettivo un po’ più basso, poi magari ci arriva e deve aspirare ad avvicinarsi ai più grandi, cosa importantissima».

Su cosa può mancare alla sua Virtus in caso di approdo in Eurolega… «I “se” non mi piacciono molto… Abbiamo queste opzioni, di cui una sportiva molto dura perchè ci sono squadre fortissime. Stiamo però lavorando sulla fisicità, sull’esplosività, sullo smaltire la massa grassa etc. Certamente il livello delle prime 8-10 squadre di EL è alto da questo punto di vista, quindi dobbiamo crescere molto».

Sul livello della LBA… «Oggi abbiamo questo nemico imprevisto, il virus, ma non deve esser scusa per non continuare a crescere. Pochi paroloni tipo spettacolo, ma tanto lavoro: se i giocatori migliorano, il prodotto basket diventa molto migliore. Il sogno dei giovani è la Nazionale? Bene, ma è solo una parte. Devi vestire quella maglia per vincere. Dobbiamo porre tanti obiettivi ambiziosi davanti ai giovani».



(foto Giulia Pesino)

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