Stefano Pillastrini, doppio ex di Fortitudo e Pesaro, è stato intervistato dal Resto del Carlino.
Un estratto delle sue parole.

Sono due ambienti abbastanza simili, anche se ovviamente quello della Fortitudo è molto più vivo per la promozione e per il fatto di essere partito dalle categorie inferiori e di aver raggiunto il massimo campionato crescendo di anno in anno. La carica dei tifosi della Fortitudo è al top, mentre quello di Pesaro è un pubblico che rimane molto caldo. Però viene da anni di sofferenza anche se sono riusciti a salvarsi. Sono due realtà dove la pallacanestro è molto sentita ed è al centro dell’attenzione.

Con quali criteri sono state costruite le due squadre? La Fortitudo è stata molto pragmatica. Ha confermato i giocatori che voleva confermare da Maarty Leunen a Matteo Fantinelli passando per il capitano Stefano Mancinelli e Daniele Cinciarini e poi ha aggiunto giocatori che hanno già avuto un ruolo di spessore nel campionato italiano limitando al minimo le scommesse. Pesaro, invece, ha fatto tante scommesse. Ha rivoluzionato tutto, costruendo una squadra dove quasi tutti sono esordienti in serie A ed è difficile giudicarla.

Che cosa le hanno lasciato le due esperienze? La Fortitudo rimane casa mia. Anche a metà settimana sono andato alle celebrazioni del cinquantesimo della palestra Furla e sebbene abbia allenato le sue rivali storiche come Pesaro, Treviso e addirittura la Virtus, resta il posto dove più mi sento a mio agio. I due anni di Pesaro sono stati uno degli apici nella mia carriera. Allora la pallacanestro italiana era dominata da Virtus, Fortitudo e Treviso e noi siamo riusciti a infilarci diventando il quarto incomodo e conquistando la partecipazione in Eurolega. Non fu una cosa da poco perché in campionato arrivammo davanti a Effe e Benetton e dietro solo alla Virtus del Grande Slam e anche l’anno successivo fu ricco di soddisfazioni.

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