LUCA DALMONTE A TRC: E' GIUSTO ALLENARE QUESTO GRUPPO, CHE HA DIMOSTRATO DI ADATTARSI
Luca Dalmonte è stato ospite di "Basket City" su TRC.
Le principali dichiarazioni del coach della Fortitudo.
Hai sopperito alla mancanza di un 4 di ruolo, potrebbe arrivare? Oggi è giusto allenare questo gruppo perché di fatto è 3-4 settimane che davvero sta insieme, con la disponibilità di tutti di adattarsi a varie situazioni, con le assenze, con rientri non completi. Quindi il gruppo va premiato e devo riuscire a gestire gli spot con la loro disponibilità.
Non hai mai cercato alibi, nemmeno prima della partita con Venezia. Quando cerchi alibi hai già perso perché mostri debolezza anziché credere in te, perché è il sistema che determina, e non il singolo giocatore. Non puoi approcciare una partita cercando delle scusanti, altrimenti hai perso in partenza.
Hai visto la Nazionale. Baldasso? Ha giocato 21 minuti di solidità e presenza. Fa piacere, perché ha anche preso iniziative con coraggio.
Possiamo sperare in un Tessitori importante per il preolimpico? L’unico centro che si può definire tale è lui. Ricci ad esempio ha taglia differente anche se può giocare da 5 tattico come ha fatto a volte oggi, ma Tessitori ha più abitudine ha giocare dentro.
Quale squadra ti ha impressionato in negativo o positivo? Se devo fare un discorso globale, Pesaro ha avuto un impatto straordinario attraverso passi importanti; da avversario mi ha impressionato Trieste, profonda, con energia, con IQ elevato. Non le ho incrociate tutte, la risposta è parziale.
Withers 3 o 4? Può ricoprire entrambi i ruoli, sia offensivamente accompagnato però da due ball handlers importanti, ma soprattutto difensivamente, perché ha taglia e rapidità di piedi per giocare contro giocatori perimetrali. Oggi ci sono tanti 4 mascherati e lui è perimetrale e può accettare i cambi.
Il segreto su Totè? Ha fatto il processo che vale per tutti. Ho avuto il vantaggio di allenarlo a Verona e il fatto che ci si conoscesse anche personalmente ha aiutato perche c’è rispetto e opinione positiva reciproca. L’ho trovato molto maturato, ancora in definizione dal punto di vista tecnico perché per me può avere il doppio ruolo ma ha bisogno di stabilità e sta lavorando per trovare un equilibrio.
Happ non era funzionale. Dal punto di vista tecnico prendo tutte le responsabilità della scelta, il giocatore non si discute per qualità e caratteristiche, ma i giocatori vanno contestualizzati. Era un giocatore che non garantiva presenza a livello difensivo e necessitava di avere possessi offensivi e secondo me questi due punti non creavano equilibrio. Hunt è completamente differente, non necessita possessi ma produce verticalità e difensivamente ci dà presenza e dinamicità ed energia che a noi servono. Dario era più funzionale per questa squadra.
Non hai fatto tu la squadra. Ma dal momento in cui l’accetto la prendo e la gestisco senza alibi e scusanti e diventa mia.
Come hai trovato la Fortitudo a più di 20 anni di distanza? La Effe è la Effe, è qualcosa che è a prescindere da giocatori, allenatori, vicissitudini. A Trento fuori dal palazzo ho incontrato un signore indeciso per chi tifare, perché lui disse “con quell’atmosfera la Fortitudo ti prende”. La Fortitudo è lì, passano i giocatori, passano gli allenatori, ma quel sentire è la Fortitudo. L’ho trovata, indipendentemente dal fatto che oggi non si può venire al palazzo, la stessa Fortitudo.
Il ricordo che conservi del derby. Era il passaggio da Scariolo a Bianchini. Ricordo quando mi sono seduto finita la partita a godermi il rumore e i colori del post partita, perché dentro c’era un turbolenza emotiva pazzesca anche se ero compassato. Anche l’aver rotto il ghiaccio il mercoledì quando giocammo in Eurolega aiutò tantissimo, poi la consapevolezza che il derby va oltre il valore di una normale partita. L’obiettivo numero uno era di non fare danni, danni non ne ho fatti e poi è successo quel che è successo. Scariolo mi disse di prendere la squadra.
Un pensiero sulla partita contro Brindisi e di trovarsi di fronte Udom. Fa effetto perché fu una scelta ben precisa su cui io puntai, abbiamo lavorato tanto perché lui è un ragazzo super, sempre lì tra essere 4 e 5 e la doppia dimensione gli ha fatto trovare spazio e oggi trova un posto degno e giusto in serie A. Mi sorprese Verona quando gli tagliò minuti e poi l’ha rilasciato. Ritrovo anche Visconti, che ebbe con Verona molta sfortuna, era solo un bimbo ed ebbe tanti infortuni fin dal primo anno in uscita dalla Reyer; rivedrò entrambi con molto piacere.
Nei tuoi 5 anni hai conosciuto la sofferenza sportiva con la Effe. La delusione più grande per te? Slalomeggio ed esco un po’ dalla pista: della finale del 1998 ricorderò sempre il post partita gara 5. Dovevamo vederci a prescindere dal risultato ma ci trovammo solo io e Pero Skansi e ricevetti una telefonata da Paolo Santi che mi disse “noi siamo qua”; andammo dalla Fossa sotto al cavalcavia dell’attuale Unipol e facemmo praticamente mattina. E’ il ricordo più vivo perché ti insegna con i fatti cosa vuol dire essere tifosi e dare una giusta dimensione alle cose al di là dell’incazzo.
Un ricordo di Dado Lombardi. Ho avuto la fortuna di conoscere il lombardi differente da quello che tanti si permettono di dipingere. Ho condiviso con lui una delle stagioni più drammatiche, quella della famosa annata di rimini dove vincemmo 2 o 3 partita una delle quali con la famosa rissa con Sylvester. Ho conosciuto un uomo generoso che dietro la sua aggressività verbale nascondeva timidezza. La fotografia della sua persona si aveva quando parlava di sua moglie.
L’anno più importante della tua carriera? Domanda difficile. Non ce n’è una che vince sull’altra. Sono tante esperienze bellissime, con Avellino eravamo candidati a retrocedere e invece salimmo in A. A Pesaro tre anni bellissimi nonostante la pressione ma con un finale importante, sono troppi quelli importanti in carriera. Vorrei che fosse la prossima partita con la F il ricordo che non posso cancellare.