BASKET CITY (O QUEL CHE NE RESTA) AL MARE
Arrivò in spiaggia, e si accorse di essere solo. Dopo tanti anni, era da solo. Accanto a li, il bagnino romagnolo festeggiava, provava anche ad imbastire un barlume di discussione su personaggi che non aveva mai sentito nominare prima (Forray, chi era costui?), e altri che per lui erano solo giovani virtussini mandati in prestito. Ma non era la stessa cosa, e sinceramente avrebbero potuto ripescare Canicattì o Tortolì, anziché Forlì, e lui nemmeno se ne sarebbe accorto.
Certo, gli veniva in mente l’estate di sette anni prima, quando fu lui a rischiare la sparizione, e per sopravvivere fu costretto, per un po’ a togliere la canotta con l’amata V nera sopra e mischiarla ad una, plebea e umile, che parlava di Castelmaggiore. E pensava a certe frasi uscite da altrui bocche: quello che godeva come un riccio, quello che pisciava sulle tombe. Non se lo era proprio dimenticato, anzi: sentire poi delle robe tipo dovrebbero fare una legge apposta per la Fortitudo gli facevano venire un certo formicolio nervoso.
Ma poi pensò a come stava, quando la sua Virtus era in balia di Madrigali, e quando attorno al corpo morente della sua squadra si imbastivano dibattiti simili a quelli attuali, ci si riempiva la bocca dell’antica nobiltà e dell’impossibilità di far fuori una piazza che ogni domenica stivava più di qualsiasi altro luogo dell’italbasket, e che solo due anni prima vinceva l’Eurolega. Era nel panico, ricordava, fino a quando arrivò un certo soggetto a riaccendere le speranze. Lo stesso soggetto che negli anni successivi gli avrebbe spesso fatto uscire insulti dalle ugole, per via di gestioni tecniche a volte schizofreniche. Però accidenti, lui almeno mi garantisce la sopravvivenza e nessun problema economico, e a quanto pare non è del tutto scontato, al giorno d’oggi: la cosa, ripensandoci, gli faceva capire che c’erano poi drammi ben peggiori del non rinnovare Langford o Collins. Doveva solo rendersi conto che Danilovic, Ginobili e Rigaudeau erano il passato: triste da ammettere, ma poteva andare peggio.
Il suo amico/nemico, ora, era altrove. E ricordò come, in fin dei conti, nel 2003 glielo disse in faccia. E’ vero che da anni cantiamo “c’è solo la Fortitudo”, ma ora che questo si è avverato non so mica se sono poi così tanto felice. Con chi discuterò tutti i giorni? Chi sbeffeggerò come è successo quest’anno, vedendo sul campo i vostri Avleev e Koturovic? No, la Virtus deve esistere, e la voglio battere sul campo. E’ un culo, e tutti insieme noi lo romperem, vero? Allora lasciate che siamo noi, a rompervelo: è divertente vedervi sparire, però….. In fondo, euforia per gli altrui disastri a parte, era quello che pensava anche lui. E’ bello vincere a Cantù, a Milano e a Treviso, ma vuoi mettere la goduria di sparare una tripla in faccia ad un broccaccio presuntoso come Strawberry, all’ultimo secondo di un derby? E se quel tiro da 4 lo avessimo tirato in testa a Roma, pensava, mi ci sarei fatto ugualmente il tatuaggio sul polpaccio? No, forse proprio no.
Accidenti. Però il pisciare sulla tomba proprio non gli andava giù. Poi, lesse due righe che il suo compagno di discussioni gli aveva lasciato: erano una citazione di una antica canzone di tal Franco Simone, che disquisiva di problemi ben più gravi che non il basket, ma che poteva essere usata, parafrasando, anche in questa situazione. Voglio maledirti raccolgo le forze per gridarti la rabbia che sola posso darti con l’anima a pezzi ormai. Voglio che ti resti il mio disprezzo come sola mia eredità. Era rivolta a Sacrati, l’uomo che aveva fatto sparire la Fortitudo. Accidenti, sono le stesse cose che pensavo io di Madrigali! E quel pirla nemmeno è andato in bancarotta con un'Eurolega, ma con una retrocessione!. La cosa lo fece riflettere; gli erano rimasti in tasca dei Sacradollari, ma anche l’impressione di uno scherzo andato oltre le previsioni. Veramente voleva che finisse così? Sbatterglielo in faccia, il godere come un riccio, o pensare che ora non sarebbe stata più la stessa cosa? E non sapeva cosa rispondere.