In queste ore tristi, il mondo della pallacanestro sta ricordando Kobe Bryant.
Noi abbiamo recuperato questo pezzo: a ottobre 2010 Kobe venne in Europa con i Lakers, e a Londra era presente per noi Valentina.

NBA EUROPE LIVE TOUR 2010: SE LOS ANGELES PARLA ITALIANO

Cronaca della nostra “inviata” alla tappa londinese del tour dei Lakers
Londra 2-4 Ottobre 2010

A diciannove lunghi anni dall’ultimo sbarco nel Vecchio Continente, quando si aggiudicarono il Mc Donald’s Open parigino guidati da un Magic Johnson che di li a poco avrebbe annunciato il forzato ritiro dal basket giocato, i Los Angeles Lakers sono tornati in Europa da Campioni Nba per aprire la stagione di un ennesimo, possibile Three-peat. Lasciata alle spalle la storica foto che nel 1991 immortalò le tute giallo oro davanti alla Tour Eiffel, i campioni Nba hanno scelto questa volta Londra come sede Europea del loro showcase inaugurale contro i giovani (e promettenti) Minnesota Timberwolves dell’olimpionico Love e della promessa ex-Miami Michael Beasley. Una partita in programma all‘avvenieristica O2 Arena di Greenwich, ma anche e soprattutto tre giorni di allenamenti in uno scenario ben lontano, non solo geograficamente, da quello di El Segundo, nell’esclusiva location del Crystal Palace National Sports Centre immerso nel verde dell’immediata periferia londinese. Training session a ranghi quasi completi per LA, unico assente giustificato Andrew Bynum, fermato dalla recente operazione al ginocchio. Nel palazzetto polivalente stretto fra lo stadio dell’omonima squadra di calcio, piscine e campi da hockey su prato, a farla da padrone sono l’atmosfera incredibilmente distesa di giocatori e staff, Phil Jackson incluso, e soprattutto la massima disponibilità a farsi conoscere meglio anche fuori dal rettangolo di gioco, fermandosi a scambiare commenti e impressioni con i rappresentanti della stampa, prevalentemente britannica, accorsa per l’occasione. E’ proprio qui che abbiamo incontrato tre dei principali protagonisti dell’ultima Finals contro i Boston Celtics: tre giocatori che, a modo loro, ci hanno fatto sentire un po’ “a casa” anche sotto l’immancabile pioggia londinese.

Kobe Bryant, Mamba “italiano”
Lasciato il campo in anticipo rispetto ai compagni in entrambe le giornate di preparazione per riposare un ginocchio che lui stesso ammette essere ancora “al 60% della condizione”, quando lo raggiungiamo Kobe è seduto in panchina a gambe ben distese, entrambe le ginocchia ricoperte da una quantità di ghiaccio (e garze) difficile da descrivere. Indosso l’immancabile t-shirt che rende onore al suo soprannome, “Black Mamba”, l’indiscusso leader dei Lakers conosciuto e amato in tutto il mondo, ma che proprio nel nostro Paese ha mosso i primi passi sul parquet dei palazzetti seguendo il papà giocatore, sorride al solo riconoscere la nazionalità nei nostri appariscenti pass, e allora lascia da parte le formalità, dimentica l’inglese e ci invita a sederci con lui sfoderando il consueto impeccabile italiano. Ci dice che è contento di essere in Europa a promuovere la pallacanestro, e che nonostante si tratti di un impegno in più in una stagione di per sè già lunga, è parte del dovere dei grandi campioni impegnarsi per far conoscere il più possible questo sport anche dove è meno seguito e praticato. Passano però pochi minuti, e i ruoli sono già invertiti: è infatti lo stesso Kobe a volerne saperne di più sulla situazione nel nostro Paese. “Cosa succede al basket in Italia?Perché non si trovano i soldi per questo sport?” Ci chiede. Difficile da spiegare anche senza l’handicap linguistico: colpa della crisi generale, certo, senza dimenticare che la centralità del calcio nel panorama sportivo nazionale rende difficile investire in una pallacanestro che non è oggi in grado di offrire alcuna garanzia, ma piuttosto grane. E la passione ci sarebbe anche, ma raramente basta. Quando poi sottolineiamo la difficile situazione dei vivai, dai quali dovrebbero uscire i “campioni” di domani, Kobe mette per un attimo da parte il consueto sorriso: “Mi dispiace molto” ci interrompe visibilmente toccato nel vivo “perché io ho cominciato a giocare a basket in Italia, a Reggio Emilia, e so quanto è importante che i bambini giochino fin da piccoli, bisogna fare qualcosa per aiutare questo sport e farlo conoscere ai più giovani. Mi informerò perché voglio capire cos‘è che non ha funzionato in questi anni e dare una mano, sul serio…”. Come? Noi un’idea da proporgli ce l’avremmo, e il Mamba quasi ci legge nel pensiero “Questa volta non ci sono riuscito, ma tornerò certamente in Italia per incontrare i ragazzi, e non solo. Spero di poter venire presto, già la prossima estate. Voglio tornare perché per me il basket italiano è davvero molto importante, mi ha dato tanto e ho dei ricordi bellissimi. Per me è stato l’inizio di tutto e vorrei che fosse così anche per tanti altri bambini”. Forse, come lui stesso ammette, il grande campione globale non ha tempo per seguire risultati e classifiche del nostro campionato, ma il nostro Paese, quello sì, ce l’ha nel cuore e si vede in ogni singolo gesto. Noi lo aspettiamo. Come non dargli fiducia?

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