Sergio Scariolo è stato ospite della trasmissione Possesso Alternato su Radio 108 Web Basket.
Qui un estratto delle sue parole.

Sugli esordi a Pesaro e il passaggio a Desio in A2 dopo lo scudetto
A Pesaro arrivai dopo gli anni nelle Forze Armate grazie a Riccardo Sales, che era stato mio capo allenatore a Brescia, e a Santi Puglisi. Arrivai come vice di Giancarlo Sacco, un allenatore che all’inizio della mia carriera mi ha insegnato tanto. Decisi di prendere un agente perché con Walter Scavolini, che reputavo quasi come un secondo padre, facevo davvero fatica a sedermi a un tavolo e discutere di soldi. All’epoca Warren Legarie era agente di Darren Daye e Darwin Cook, i nostri due USA, e gli chiesi se volesse rappresentare anche me. In quel periodo non era così frequente avere allenatori rappresentati da un agente. Lui accettò e, con grande mentalità NBA (ride, ndr), avendo vinto il titolo al mio primo anno in panchina, andò da Scavolini a chiedere una paga tre volte più alta di quella che era stata fin lì. Walter rimase stranito e si narra abbia anche risposto ‘Beh, per quella cifra prendo un allenatore vero’. Poi si trovò l’accordo, ma il secondo anno non andò altrettanto bene, portando la società a rimpiazzarmi con Alberto Bucci. Io a quel punto ebbi qualche contatto con alcune squadre, ma il più serio fu con Desio e Pieraldo Cerada, che mi trasmise la sua grande passione per il gioco mischiata al business e mi convinse ad andare da lui, seppur in A2.

L’esperienza in Fortitudo e l’estate 2003 con la Virtus
L’esperienza alla Fortitudo fu bellissima. Iniziai convinto dai progetti di Giorgio Seragnoli, Beppe Lamberti e Maurizio Albertini, che avevano costruito un progetto davvero affascinante. Il primo anno partimmo penalizzati di sei punti, rischiando anche di essere retrocessi, senza che nemmeno mi rendessi bene conto dei motivi. Crescemmo anno dopo anno, giocando la finale scudetto contro una Milano davvero fortissima. Poi l’ultima stagione c’era una situazione dove non eravamo riusciti a gestire bene i leader della squadra e quelli della società. Ne venne fuori una situazione scricchiolante che, insieme a risultati appena sufficienti, fece sì che saltassi io. Con la Virtus ci sono state, negli anni, diverse chiacchierate reciprocamente interessate. Nel 2003 fu Marco Madrigali a convincermi a firmare il contratto, con altre persone di peso nell’ambiente bolognese che avallarono quell’offerta. Fu un’estate kafkiana. Sembrava d’essere nel deserto dei tartari, coi tartari che non arrivavano mai. Andavamo in sede all’Arcoveggio in uno, due, tre, a volte quattro persone e non si sapeva mai se la squadra si sarebbe fatta o meno. Poi entrò Sabatini e iniziammo a recuperare le situazioni pregresse, rinegoziando i debiti esistenti per stare nel budget messo a disposizione. Ce la facemmo, ma evidentemente fuori tempo massimo. La squadra poi riuscì a iscriversi in A2, ma a quel punto io non me la sentii di rimanere e Sabatini, gli va dato atto, fu molto generoso nel riconoscermi comunque un rimborso per quell’estate di lavoro. Dove la sera tornavo a casa aspettandomi di trovare la serratura cambiata, perché, da quel che sapevo, l’affitto non veniva pagato al padrone di casa.

Sulle prospettive del movimento cestistico spagnolo
Le prospettive della Spagna e dei giocatori spagnoli in questo momento forse sono anche peggiori di quelle italiane. Al momento ci sono solo quattro posti garantiti per squadra e per essere spagnolo di formazione devi aver fatto solo tre anni tra giovanili e il primo anno senior. In questo modo si sono “spagnolizzati” tanti giocatori che in Spagna, realmente, sono stati poco. Le prospettive sono preoccupanti. Credo la ACB sia uno dei campionati con il minor numero di giocatori domestici veri. Abbiamo creato una struttura, a livello di settore Nazionali, che ha brillato ed è stata competitiva, portando anche qualche giocatore in prima squadra, ma sta diventando sempre di più un’isola. Perché dall’altra parte c’è un campionato dove ormai portare giocatori in prima squadra e, successivamente, in Nazionale, non è una priorità.

Sul ritorno in Nazionale dopo la prima esperienza
Io inizialmente non ero molto favorevole. Non avevo una buona sensazione a istinto. Se non fosse che tutti i giocatori della Nazionale si fecero vivi per chiedermi di tornare. E allora a quel punto divenne difficile dire di no. Avevo più voglia di allenare un club, però questa cosa mi portò a pensare che fosse una buona idea tornare per riavviare il discorso che si era interrotto in precedenza. È andata bene, anche per fattori che non sono per forza aderenti alla mia presenza. Le cose sono andate bene fino ad ora e probabilmente continuerò ancora per qualche anno, sapendo che la sfida è non avere una, fisiologica, curva di calo troppo bassa.

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