Dejan Kravic è stato intervistato da Luca Aquino sulla Gazzetta dello Sport.
Un estratto delle sue parole.

Partendo dalla panchina, Kravic segna 11.2 punti (col 56% da due) e cattura 6.5 rimbalzi di media. Mi sono detto che sarei dovuto essere il più produttivo possibile sia che giocassi 2-3 minuti, sia che ne giocassi 30. Ho cambiato approccio, ho capito che posso controllare solo quello che è sotto il mio controllo. Quindi andare in campo, giocare il più duro possibile, portare energia. Sono uscito dalla panchina tutto lo scorso anno e ho disputato la miglior stagione della mia carriera. Ad essere onesti, adesso preferisco partire dalla panchina, mi sento più a mio agio in questo ruolo. Vedere da fuori cosa sta succedendo nella partita ed entrare quando gli altri sono un po' stanchi aiuta.
Per me non è importante chi comincia le partite, ma chi le finisce. Se io sono in campo nei momenti decisivi di una gara in equilibrio capisco che il coach ha fiducia in me. È una questione di predisposizione mentale. Sai che partirai dalla panchina, devi approfittarne per leggere il tipo di partita ed essere pronto quando sarai chiamato.
Si ispira a qualche sesto uomo in particolare? «No, il giocatore a cui ho cercato di ispirarmi è stato Vlade Di-vac. Amavo la sua capacità di fare tutto: tirare, passare la palla, palleggiare lungo tutto il campo a grande velocità. In campionato vedo tante squadre che fanno uscire dalla panchina giocatori potenzialmente da quintetto e molto produttivi. Ed è quello che cerco di fare io per la Virtus, portando difesa, rimbalzi, stoppate e convertendo alley-oop.

E' arrivata la convocazione im Nazionale serba. Un grande motivo di orgoglio. Ho sempre detto che per me giocare in Nazionale è più importante che, eventualmente, andare in NBA. Amo il mio Paese, sono orgoglioso delle mie origini. Non ho ancora fatto il mio debutto ufficiale e questo resta uno degli obiettivi, ma essere convocato è stato bello.

2 APRILE, IL GIORNO DELLA FORTITUDO VITTORIOSA A REGGIO EMILIA E DI TEO ALIBEGOVIC
LO SFOGO DI MATTEO BONICIOLLI