Zare Markovski, coach della Romania che oggi affronterà l'Italia a Cluj-Napoca, è stato intervistato da Vincenzo Di Schiavi sulla Gazzetta dello Sport.
Ecco un estratto delle sue parole.

Il basket italiano manca? Certo. Sono arrivato in Italia nel 1991 e lì morirò. E' diventato il mio Paese e quello della mia famiglia. Io sono italiano. Ma tornerei solo a una condizione.
Quale? A 58 anni non sono più disposto ad accettare di dover eseguire le idee di basket di un presidente. Se mi danno un club, voglio anche le chiavi. Ad Avellino e alla Virtus Bologna ho dimostrato di riuscire ad ottenere risultati. Non ce la faccio ad assecondare le scelte dei saputelli. Il basket è la mia professione e se qualcuno me la vuole insegnare significa che ho sbagliato tutto nella vita.

Succede così spesso in Italia? Più che altrove. Purtroppo di gente come Gabetti, Scavolini, Benetton e Bulgheroni non ne vedo più tanta.
Un esempio? Dopo aver interrotto il mio rapporto con la Virtus Bologna, nel 2007 vado a Milano e il proprietario (Giorgio Corbelli, ndr) mi fa: "Aradori non deve mettere piede in campo se non quando siamo sopra di 30". Poi mi si rompe Danilo Gallinari e io replico: "E adesso?". Mi sento rispondere: "L'infortunio di Danilo non giustifica l'utilizzo di Ara-dori". Ne potrei citare anche altri capitati in piazze diverse. Uno, due, tre volte. Alla fine mandi giù per salvare il posto di lavoro, ma te ne vergogni. Ora non lo accetterei più.
Giudizio positivo sull'Italia targata Sacchetti? Sì, perché Meo è la persona giusta al posto giusto. Venti anni fa i ruoli nel basket erano 5: play, guardia, ala, ala-forte e pivot, poi sono diventati 3: play, esterni e lunghi, adesso invece non esistono. Tutti devono saper fare tutto. Flessibilità totale. Un'evoluzione che Sacchetti, con la sua filosofia di pallacanestro, sa valorizzare al meglio.

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