Con il dolce nella coda, a cercar di rendere meno amara una stagione fatta di alti e bassi, di un ottovolante pazzesco per una squadra capace di farsi corsara spesso e volentieri, ma che in casa ha continuato a mostrar una vena misericordiosa da Nobel per la pace, tanto concedeva a chiunque una vittoria. Questa è stata la Fortitudo 2007/08, figlia di scelte sbagliate, di errori portati avanti ben oltre l'accettabile, ma che a differenza di quella precedente ha mostrato, anche nelle pecche, una buona fede tale da meritare, se non applausi, l'assoluzione in
primo grado in attesa di nuovi sviluppi. Discese ardite, risalite, mortificazioni Uleb ma anche cose buone per la platea (la Virtus sempre matata, ad esempio) che, alla fine, ha acclamato tutta - o quasi – la banda. Certo, ci fosse stato sempre lo sfoggio ormonale del playoff con Siena, forse sarebbe stata un'altra storia, e sarebbe da chiedere a tutti dove fossero stati nascosti, quegli attributi, quando si lasciava passare la varia umanità di un campionato non certo mostruoso, come forze in campo. Ora, con una Europa non conquistata (ma una Uleb che, ci fosse la chance, sarebbe scriteriato lasciar perdere) ma con, in extremis, l'abbraccio con la propria gente, la F dovrà capire cosa fare da grande. Per adesso, guardiamo uno per uno i protagonisti dello ieri appena finito, per le novità vedremo da domani.

Jenkins – Gli danno, forse con ampio amor del rischio, le chiavi della macchina, e all'inizio, tra un cozzo di qua e uno sbando di là, il prodotto è sufficiente, dato che ne vince (Pesaro in primis) più di quante non ne perda palesemente. Gioca da solo, ma può dire che attorno non è che i compagni facciano tanto per alzare le proprie quotazioni, anche se – ad averlo come play - si possono veder crescere le proprie unghie, in attesa di un passaggio. Con l'arrivo di Forte Sakota cerca di silurarlo, e forse manderebbe in campo anche il più panciuto dei giornalisti, piuttosto, ma diversamente non può fare. E Orazio, tolte le famose chiavi di cui sopra, perde grinta e voglia. Tradotto, gli scende la catena, terminando con un playoff masochista, dove un autocanestro sarebbe stata l'apoteosi. Indifendibile, è la pietra dello scandalo tecnico di questa F, per cui vattelappesca cosa sarebbe potuto essere con un altro al suo posto. E l'immondo finale, quando Sakota arriva a dire a Lamma tuo figlio potrebbe darmi 10'? (non è successo, però è bello immaginarlo), cancella il tanto agonismo, non sempre negativo, messo in campo all'inizio.

Nelson – Cosa sarebbe stata, ci si chiede, la squadra con lui. Ma cosa sarebbe stata, ci si chiede anche, la squadra se sulle sue condizioni ci fosse stata chiarezza; Mazzon lo definiva fondamentale per dare una diversa aerialità al suo attacco, e pronto ad aspettarlo tutto il tempo possibile. E, forse per questo motivo, il dramma di non avere un 4 di ruolo - a parte la parentesi Iturbe - si è trascinata fino a quando, lui mediamente ripresosi, è nata la bega del turnover. Totalmente ingiudicabile, anche se è fuori di dubbio che, ad averlo in campo, sarebbe potuta essere tutta un'altra fazenda.

Mancinelli – Alle migliori cifre in carriera, per una stagione dove lo sballottano tra spot di 3 e di 4, ma dove lui risponde sempre presente (ok, a volte sbarella anche lui, ma mica tutti nascono l'8/8/88) mostrando una continuità quasi da Gronchi Rosa, nella misteriosa F di quest'anno. Certo, lo si guarda pensando che, con un po' di sbuzzo in più, potrebbe sparar quadruple doppie ad ogni uscita, e che è come una Gioconda a cui, osservando bene, c'è un po' di acne sulle guance. Avrebbe anche diritto, a questo punto della sua vita cestistica, di reclamar spazi laddove si gioca per alzar trofei, ma qui gli viene chiesto di diventar bandiera della risalita. Se il tronista saprà rispondere alle avances d'oltreporta, renderebbe felice una Bologna fortitudina che lo sta apprezzando sempre di più. E se poi provasse, in allenamento, diecimila tiri da 3 al giorno, la sua completezza tecnica sarebbe raggiunta.

Cittadini – Mazzon per dargli spazi lo prova da 4, non trovando però risposte particolarmente succose. Rimesso nel ruolo di centro, si trova con minutaggi cassati dalla concorrenza: quando c’è da tamponare assenze non funziona nemmeno malaccio, ma viene alla lunga utilizzato, per forza di cose, con troppo contagocce per permettergli di capir qualcosa del panorama attorno a lui. Colpevole, anche se di responsabilità non è che gliene si possa attribuire più di tanto.

Torres – Inizia da guardia titolare, termina da cambio dell’ala forte, con forte rischio di emicranie. Troppo imballato in autunno, anche per postumi di bue, riesce con il tempo a dare un suo rendimento costante, fatto di pochi picchi negativi ma nemmeno di partitoni pronti ad essere messi su youtube: spesso al minimo sindacale, partita dopo partita migliora le sue prestazioni al tiro, ma sembra sempre accontentarsi del compitino, felice se non altro di non far danni. Poco, per uno spot da extracomunitario, parlare di senza infamia e senza lode: difficile ricordare momenti in cui abbia perlomeno cercato di caricarsi sulle spalle i compagni, se non forse nei playoff. Qui, Oscarito nostro, da Oscarrafone si trasforma in uno che davvero li ha visti, i peggior bar di Caracas, e sa come uscirne fuori: cosa gli sia scattato, davanti a Siena, lo sa solo lui. Gregario da alto livello, non forse da metà classifica.

Lamma – Cuore di capitano, che parte da cambio di Cavaliero per diventare starter con un Sakota che cerca in lui quel raziocinio spesso assente nell’Elettricista. Ha limiti palesi, per giocare trentelli di minuti ad alto livello, ma con lui la squadra ha una sua costruzione, schemi semplici (e spesso è con la semplicità che si evitano sfondoni) e gerarchie definite. Poi ovvio, non può essere Stockton e nemmeno, se vogliamo, il Bonora dei tempi migliori; però fa capire cosa sarebbe potuta essere, questa Fortitudo, fosse stata progettata con maggiore lucidità. Pochi alti, pochi bassi, una confortante regolarità.

Cavaliero – C’è fiducia in lui, tanto che Mazzon lo vuole primo cambio del regista. Malriposta, perché quel che si era visto lo scorso anno viene qui riproposto: confusione, incapacità di reggere la pressione, e paura di sbagliare ad ogni palleggio. Sembra inadatto alla direzione, più funzionale a far da guardia tiratrice pur non avendone la statura, rinasce ad Avellino diventando importante pedina tattica nello scacchiere di Boniciolli. Misteri della fede.

Bagaric – Più mossa pubblicitaria che non tecnica, arriva in un momento in cui, forse, sarebbe servita una alternativa a Nelson che non un altro centro puro. Sempre con il dubbio di quanta sia la sua autonomia, tanto fisica che mentale, potrebbe anche dare alla F una diversa spaziatura offensiva, rispetto al quasi inutile Thomas, anche se rimane, forse, un ottimo cambio da specialista per squadra di alto livello come era forse Bologna ai tempi di Repesa: qui, probabimente, servirebbe maggiore completezza, e maggiori sicurezze sul fatto che, a chiedergli sei presente?, la risposta sia sempre positiva.

Janicenoks – Lo avevano già portato al Marconi, con saluti e baci. D’altra parte, in una squadra con palla in mano a Jenkins, un tiratore poteva portarsi in campo il Sudoku o il Tetris, in attesa di un buon scarico, nel mentre che le mani si raffreddavano e la mira restava in Lettonia. Ha la forza d’animo di voler prendere il destino a pugni e vincere: con Sakota le cose migliorano, ritrova il posto non solo nelle rotazioni ma addirittura in quintetto, diventando pedina importante della seconda parte di stagione. Certo, partiva da aspettative tipo se non fa autocanestro va già fatta bene, ma merita un piccolo applauso: se non altro, perché capisce che ad alto livello serve anche una dimensione difensiva, e si applica. A prova del fatto che, anche nel mercato usa e getta di oggi, ogni tanto aspettare un giocatore può non essere la scelta sbagliata.

Iturbe – Rattoppo di emergenza davanti alle insolute magagne di Nelson, dopo essere stato già acquistato in estate e tenuto a bagnomaria da quando gli venne preferito Bagaric. Mostra che un 4 di ruolo a questa squadra sarebbe potuto servire, ed entrambe le direzioni tecniche gli danno spazio: lui risponde con qualche tripla e buon aiuto nel movimento di palla, prima che scelte personali lo dirottino nuovamente in Ispania. Oltretutto, con la rinascita di Janicenoks, la sua permanenza avrebbe creato ulteriori problemi di turnover, stavolta tra i comunitari.

Forte - Sfreccia, impenna, esclama porco dito, facendo rimanere abbrustoliti dalla petomarmitta tifosi che non sanno mai, da questo novello Supergiovane, cosa aspettarsi. Arrivato a metà stagione per dare una mano in attacco ad una squadra che non farebbe canestro nemmeno ad usar minacce di esilio in Siberia, si dimostra eccellente solista che non ha, però, necessità di accentrare il gioco come il compagno Elettricista, anche se non sai mai, nel bene o nel male, se dopo la palla a due inizierà un match pari o dispari. Alti, bassi, cose succulente come anche dimenticanze palesi per chi, forse, sapesse dare un po’ di continuità al talento sopraffino sarebbe giocatore da primissima fascia. Il prendere o lasciare che potrà, forse, diventare argomento di discussione per le prossime settimane.

Thomas – Il re (del rimbalzo, la passata stagione) si è dimostrato nudo, perché sotto le statistiche nella lotta del tabellone si è visto che non sempre le cifre possono salvare un giocatore. Disarmante pochezza offensiva, e una difesa che non lo vede mai realmente coinvolto nelle dinamiche della azione, dato che il suo unico interesse è non abbandonare l’area per rischiare di perdere una carambola da aggiungere al suo bottino. Il marito ideale, insomma, perché lui è uno che non esce mai per i fatti suoi. Era uno dei pochi da salvare dell’anno scorso, con aspettative accresciute anche dal balletto sul suo rinnovo estivo, diventa giorno dopo giorno un caso: Sakota ne pota il minutaggio, rendendolo back-up di Bagaric. Ora, anche davanti ad un contratto difficile da sbolognare in tranquillità, diventerà un caso delle nostre giornate più calde.

Calabria – Il figlio di buonadonna richiesto da Mazzon per rendere più solida la panchina, e che mai ha smentito le voci che lo davano già sul carrello dei bolliti, come dicevano a Milano. E a Bologna, il Gerovital non è stato trovato: si limita ad aspettare scarichi che spesso non arrivano, senza dare mai l’idea di volersi rendere utile in altri modi. Le percentuali alla fine non sono nemmeno scarse, ma da qui all’aver dato delle vere zampate sulle partite ce ne passa: Sakota lo sfiducia, poi lo rimette in carreggiata più per mancanza di alternative che non per autentica convinzione. Poco da segnalare, se non l’impressione che la sua permanenza in zona Fortitudo sia stata un omaggio al suo passaporto: in campo, ha dato davvero poco.

Mazzon – Cerca di costruire una squadra di brutti sporchi e cattivi, magari di poca tecnica ma capace di mordere i polpacci, nel caso anche in modo non figurato, pur di non perdere. Anche a costo di farne solo 50, ma lasciandone agli altri 49. Naufraga però tra scelte sbagliate (Jenkins, o il tentativo di trasformare Torres in una guardia e Cittadini in un'ala) e la sfortuna di non aver tratto il dado nella questione Nelson. Capace di grandi cose, ma anche di sfondoni allucinanti – vedi Belgrado -, viene tenuto in vita da alcune prove dei suoi che non direbbero si stesse remando contro di lui: poi, all'ennesimo patatrac casalingo con Milano, lo champagne dell'ultimo dell'anno che gli viene mischiato con del metanolo. Qualche alibi, ma le scelte iniziali erano poi sue: gli resta il rammarico di non aver mai potuto allenare Forte, che da lui era stato voluto.

Sakota – Rimette in piedi un barlume di classifica, anche se non è che poi riesca a capire cosa passasse per la zucca di una squadra capace di ottime cose esterne ma che poi si inginocchiava, davanti alla propria gente, di fronte a Biella e Udine, per intenderci. Ha un Forte nel motore che gli permette di avere un attacco che Mazzon si sognava, vorrebbe strozzare Jenkins ad ogni azione dubbia dell'Elettricista (quindi sempre), e con lui la F inizia a far canestro, ma anche a subirne. Non sempre sembra in grado di decriptare gli enigmi del campo con la giusta immediatezza, si imbarla un po' troppo nel turnover tra extracomunitari e forse, solo davanti ad una Siena con cui si poteva perdere senza crear drammi, prova le sue prime scelte davvero coraggiose. Arriva nei playoff anche per demeriti altrui, può dire alla fine quello che volevate l'ho ottenuto: basterà per la riconferma? Ha lavorato con gente non sua, questo è vero, ma l'idea che in giro si possa trovare di meglio c'è. Ai posteri l'ardua sentenza.

Società – Gil Sacrati a fine stagione decide di darsi un 5, subito corretto in un 6 che, forse, è più consono a quanto si è visto. Lotta su troppi fronti, tra vicende di Parco delle Stelle e faccende tecniche che, lui in primis, vorrebbe delegare fin dalla prossima stagione. Bravo a dare alla piazza un senso di stabilità che - e ci mancherebbe altro – il Galactico aveva triturato. Tanta inesperienza, da lui autoammessa anche forse in cerca di giustificazioni, qualche titubanza di troppo nei momenti delle decisioni irrevocabili: Mazzon sfiduciato ma cacciato poi di San Silvestro, o il Nelson mai realmente compreso. Dandogli il beneficio della prima volta, l'augurio è che si possa migliorare: la piazza può anche accettare di non dominare in lungo e in largo, ma che la Fortitudo sia quello che deve essere, senza se e senza ma. E le tante dichiarazioni d'amore alla fine del playoff con Siena lo sono a dimostrare: non conta vincere, conta che la squadra porti in campo il cuore del pueblo.

IL RITIRO DI MATT WALSH
PESARO - FORTITUDO SUPERCOPPA 2001, PAGELLE E STATISTICHE