Doveva essere la sagra dell’attenzione alle triple di Verona, squadra che tira più da lontano che non da vicino, che apre il campo e tutto il resto. Certo, come no: Verona ha tirato più da lontano che non da vicino, ma il campo non è che lo abbia aperto poi tanto (16/26 da 2, ma 8/33 dall’arco). E allora, la scorpacciata di sparakkjanza l’ha fatta la Fortitudo, che alla fine di triple ne ha messe – messe – 18, ha aperto il campo, ma soprattutto ha allargato ancora di più il divario dalle dirette concorrenti, ammesso che di concorrenti si possa parlare quando la classifica è così rosea. Alla fine la partita delle partite non è stata quasi una partita, perché l’ispirazione offensiva bolognese, dopo un primo quarto di studio, è stata talmente devastante (27 assist) da rendere impossibile qualsiasi altra replica, da parte di Dalmonte. E Martino, ora, contro il suo ex capo allenatore è 7-2, solo per mera statistica.

Per il resto, è difficile commentare quando le cose sono così rotonde: se sei attento, se la palla gira che è un piacere, se giochi con la leggerezza della convinzione nei tuoi mezzi e non con la pressione di dover vincere, alla fine ne esce un quasi centello contro una squadra che era in serie da nove vittorie consecutive e che, legittimamente, poteva palesarsi al Paladozza con l’idea di poterci provare, a mettere un po’ di sabbia nel macchinario fortitudino. Certo, come no, lo abbiamo già detto. E ora, 15-1, Verona a 5 vittorie di scarto, e un 2-0 negli scontri diretti che, chissà, se mai ci dovesse essere un arrivo in gruppone, utile sarà. Ma, oggi, pare fantascienza pura.

In ginocchio da te - Tutti, dai. 120 di valutazione, le triple, gli assist, il pubblico, la festa finale, Mancinelli contento anche se ormai gli manca solo il plaid sulle ginocchia e la sedia a dondolo con le parole crociate.

Non son degno di te - Nessuno, dai. Forse solo la difesa su un Candussi a tratti irreale, ma sono peli nelle uova.

( Foto Fabio Pozzati/ebasket.it )

2 APRILE, IL GIORNO DELLA FORTITUDO VITTORIOSA A REGGIO EMILIA E DI TEO ALIBEGOVIC
LO SFOGO DI MATTEO BONICIOLLI