Alla fine è poi stato soltanto un bel regalo per chi non voleva passare il mese di aprile a fare classifiche avulse e capire quanto sarebbe stato necessario per arrivare a quel famoso secondo posto nel gironcino e provare quindi ad arpionare il primo turno casalingo nei playoff. La Fortitudo che ne becca quasi 20 da una rimaneggiata Piacenza è la solita di tante trasferte, giocate con la supponenza di chi forse crede di poterle vincere solo per il nome che si porta, o forse - e magari è anche peggio - di chi nemmeno ci crede, o non è toccato dal fatto di poter fare qualcosa per risollevare la stagione. E allora, si faccia una cosa, molto semplicemente: la si smetta di raccontare che ci siamo parlati, abbiamo capito, ora siamo tutti belli uniti per fare il meglio possibile, il pubblico, la Fossa, il Paladozza. Perchè se Claudia Mori cantava di Non succederà più, qui c'è tanta di quella recidività che nemmeno fa notizia, ecco.

Piacenza ha detto che manca la minima coesione per far fronte alle sfuriate avversarie, che non ce n'è uno capace di prendere in mano il pallone e guidare il resto della truppa, che si fa canestro solo in assalti autonomi e mai per una vera costruzione collettiva. E, che dietro, bastano due giri di palla per mandare il tilt chi, evidentemente, non ha nella difesa il proprio DNA. E in questi casi servirebbero voglia e attributi che, evidentemente, sabato non sono saliti sul pullman. E non è una novità. Avanti pure, con una settimana allungata di tempo (si tornerà in campo mercoledì prossimo) per trovare amalgama, per guardarsi dentro, per fare un nuovo precampionato. Vabbè.

Ed ero contentissimo - Di davvero poco. Aradori segna anche se rallentando, ma sarebbe assurdo criticarlo per la non continuità in una gara dove gli altri nemmeno hanno iniziato, ad essere continui.

Non me lo so spiegare - O forse è spiegabilissimo: se ognuno va di testa propria, se il collettivo proprio non esiste, se si crede di poter fare bene solo a parole, tutto il resto non è noia, come diceva il Califfo, ma semplicemente tristezza.

(foto Mauro Donati)

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