I 50 ANNI LBA. CAZZOLA: DOPO 20 ANNI IL BASKET E' ANCORA FERMO
I 50 anni della LBA. Alfredo Cazzola: 'La mia svolta interrotta: così dopo 20 anni il basket è ancora fermo'
La presidenza di Alfredo Cazzola, l’inventore del Motorshow, a quel tempo “patron” della Virtus Bologna che aveva acquistato nel 1992 e che avrebbe portato ad una incredibile serie di trionfi italiani ed europei, inizia quasi per caso: in un sabato mattina di fine settembre 1998 in cui la Lega Basket presenta a Bologna il campionato di Serie A alla presenza del Premier Romano Prodi e in cui l’allora presidente Angelo Rovati annuncia l’accordo per la nuova sponsorizzazione el campionato con il marchio Omnitel:
“Un fulmine a ciel sereno - ricorda adesso Cazzola - Rovati fece una fuga in avanti tralasciando di avvertire noi consiglieri di Lega. Sapevamo di quella trattativa ma non eravamo convinti che fosse la scelta migliore. Io in particolare avevo chiesto un chiarimento sulla entità della sponsorizzazione: ero presidente di una Virtus a cui la Ferrero, con il marchio Kinder, garantiva una cifra molto alta di sponsorizzazione e se era possibile sponsorizzare tutto il campionato con una cifra come quella che per cui stavamo per concedere a Omnitel, gli sponsor delle squadre avrebbero fatto una riflessione seria sulla entità dei loro investimenti. Chiesi che ne parlassimo in Consiglio qualche giorno dopo l’annuncio di Rovati, con l’obiettivo che la cifra fosse allineata a quella delle altre grandi sponsorizzazioni di club. “Piuttosto – ricordo le mie parole – ci scrivo il mio nome sul campo. Rovati si alzò dalla sala e dopo 30 minuti tornò rassegnando le dimissioni. A quel punto tutti guardarono verso di me e mi dissero: visto che hai creato tutto questo casino, adesso è giusto ch ti fai carico delle conseguenze. “Nessun problema – dissi. E così iniziò la mia presidenza di Lega”.
Capace sempre di guardare in avanti, Cazzola, come tutti gli imprenditori di successo, si trovò anche baciato dalla fortuna: “Già, qualche giorno dopo ebbi un colloquio con l’amministratore delegato di Ford Italia, Massimo Ghenzer al quale prospettai l’idea di sponsorizzare il campionato: l’idea piacque e firmammo un accordo per la cifra di 3 miliardi e mezzo che era circa il doppio di quello che avrebbe portato il marchio Omnitel. A cui fummo costretti ad annunciare con un po’ di imbarazzo che non potevamo svendere il campionato”.
Da lì partì la rivoluzione di Cazzola: Flavio Tranquillo alla comunicazione, Massimo Zanetti segretario generale al posto di Sandro Crovetti che aveva rassegnato le dimissioni insieme a Rovati, e successivamente Andrea Bassani nel ruolo di Direttore Generale: “Una bella squadra – ricorda adesso Cazzola – al passo con i tempi, che cercò di instaurare con Tranquillo un nuovo modello di comunicazione e con Bassani una ricerca di ulteriori risorse alla Lega nel momento in cui stava esplodendo Internet e la new economy e bisognava conoscere bene questo nuovo settore del business. Come presidente io invece cercavo di capire come far crescere la Lega dal punto di vista politico ed istituzionale: andai in Spagna da Eduardo Portela per capire il segreto del successo della loro Lega che sino a qualche anno prima veniva da noi a Bologna a studiare il nostro modello. Il segreto della ACB era stata la capacità di staccarsi progressivamente dal rapporto diretto con la Federazione e avere un rapporto diretto con il Governo tramite il Consiglio Superiore dello sport. Una grande differenza rispetto a noi, costretti a dover sempre trattare ogni proposta o rifoma con Coni e Fip nel momento in cui invece si sentiva la esigenza di creare le basi per costruire club sani imprenditorialmente e capaci di sostenersi con le loro risorse. Questo non significava pensare ad una lega chiusa: io avevo ottimi rapporti con Petrucci che era alla guida della Fip prima di passare al Coni e poi con Maifredi ma avevo la consapevolezza che solo un progressivo aumento di autonomia, seguendo il modello spagnolo, ci avrebbe permesso la crescita definitiva del nostro sistema professionistico con l’obiettivo di migliorare i nostri bilanci”.
Il pugno di ferro con cui Cazzola governa lo porta subito in contrapposizione ad alcuni club: “Al momento della iscrizione al campionato 1998-99 come Lega verificammo che due club, Siena e Cantù, non avevano i requisiti per essere iscritti alla Lega e di conseguenza, secondo le nostre regole, per essere ammessi al campionato. Diedi loro tempo per mettere a posto le loro posizioni sino a quando fummo costretti a comunicare loro che non potevano iscriverle, proponendo la loro esclusione. Quella mia intransigenza fu mal interpretata: io volevo solo far rispettare le regole invece mi creai un gruppo di nemici. Ma soprattutto si creò un pericoloso precedente: i due club da noi esclusi si rivolsero alla Federazione che li ammise al campionato. Fu una prima, pericolosa prova che le regole che ci eravamo dati in Lega non contavano più: eravamo tutti d’accordo a parlarne ma quando si trattava di rispettarle…
Il secondo momento di imbarazzo fu il famoso derby Virtus-Fortitdo dove il ds della Fortitudo Santi Puglisi fu ripreso in diretta tv ad abbassare la paletta che segnalava il raggiungimento del bonus dei falli. Feci richiesta che Puglisi fosse squalificato: fu una mossa che, visto anche il ruolo istituzionale che ricoprivo, mi mise in difficoltà verso i miei colleghi ma io mi muovevo sempre e solo per il rispetto delle regole. Ma se mi chiedete se il presidente della Lega può anche essere presidente di un club, beh direi che in un paese come l’Italia, dove il sospetto è sempre presente, forse direi che è giusto che chi guida la Lega sia superpartes.”
Si apriva la strada verso un progressivo indebolimento della Lega che avrebbe portato ad un periodo di incertezza nel governo dei club: “Mi resta il rammarico di avere concluso anzitempo quello che era un grande lavoro di squadra, impostato dal mio staff e che era pronto a raccogliere grandi frutti: il culmine di quel lavoro fu la proposta di sponsorizzazione del campionato che avevamo in mano con Kataweb e che, anche per fare un dispetto a me a alla mia gestione, venne bocciata. Se firmata avrebbe portato una quantità incredibile di denaro alla Lega, rafforzando enormemente la mia presidenza. Stiamo parlando di una cifra del valore complessivo tra i 56 ai 62 miliardi di Lire per 5 stagioni di cui 50% cash e 50% in servizi di comunicazione di cui avrebbe beneficiato l’intero movimento di vertice. Un accordo di grande importanza che il nostro direttore generale Andrea Bassani aveva negoziato con Paolo Dal Pino, attuale presidente della Lega Calcio e a quel tempo manager di Kataweb. E guarda caso il primo avversario di quella proposta fu proprio Ferdinando Minucci che guidava Siena, uno dei due club di cui avevo proposto l’esclusione un anno prima”.
Di fatto si fermò un progetto di riforme strutturali che comprendeva anche un sistema di polizze assicurative, di accesso ai palasport con contratti negoziati direttamente dalla Lega. Uniti all’aumento della capienza dei palasport, fermato da un referendum tra i club che permise la sopravvivenza del limite di 3.500 posti, una capienza che Cazzola intendeva alzare: “Anche in quel caso il mio obiettivo era che pian piano tutti i club seguissero il nostro esempio come Virtus che aveva fatto dell’impianto e dei conseguenti incassi un asset fondamentale del proprio sviluppo. Incassavamo tanto grazie alla capienza di un impianto come il PalaMalaguti: ma io non volevo che quello della Virus restasse un caso isolato e ritenevo fondamentale che tutti i club potessero aumentare gli introiti dei loro botteghini lavorando per una politica di espansione che doveva necessariamente partire da impianti più moderni e capienti. Tutto il movimento ne avrebbe beneficiato, creando i presupposti, ad esempio, di una cassa comune in grado da distribuire ai club e in grado di riequilibrare il rapporto tra grandi e piccole. Un problema, quello degli impianti, che ho toccato con mano durante la mia presidenza del Bologna Calcio: anche qui fatichiamo a stare al passo con gli altri paesi europei che hanno stadi nuovi e di proprietà, in grado di presentare un prodotto appetibile per le tv e per i tifosi.. Una lezione che avevo appreso anche durante i miei viaggi negli Stati Uniti, visitando le arene della Nba, parlando con il loro “commissioner” David Stern. Il progetto era quello di creare una Lega e società sempre più solide anche patrimonialmente: quando entrai nel basket nel 1992, lo feci anche spinto dalla presenza di grandi imprenditori come Ferruzzi, Benetton, Stefanel, Scavolini, tutte persone con cui progettare un progetto di di sviluppo: purtroppo le cose furono lasciate a metà. Così, mentre definivo la cessione della Virtus a Madrigali, pianificai la mia uscita anche dalla Lega Basket”.
Venti anni dopo, Alfredo Cazzola vede nel basket di vertice “una situazione cristallizzata, con le stesse problematiche: il basket continua a piacere ma non riesce a dare una svolta: pochi proventi dalla tv, poche infrastrutture anche se qualche nuovo impianto è nato, club che faticano a reperire risorse. Io vedo una unica soluzione: dare al movimento professionistico una reale autonomia, mantenendo il rapporto con la Federazione in merito alla gestione degli arbitri, agli obblighi di dare i giocatori alla Nazionale, dandosi al contempo regole certe per lo sviluppo che tutti si impegnino a rispettare. Solo così torneremo ad attirare imprenditori come accadeva negli anni ‘90 quando iniziai la mia avventura nel mondo del basket”.
La presidenza di Alfredo Cazzola, l’inventore del Motorshow, a quel tempo “patron” della Virtus Bologna che aveva acquistato nel 1992 e che avrebbe portato ad una incredibile serie di trionfi italiani ed europei, inizia quasi per caso: in un sabato mattina di fine settembre 1998 in cui la Lega Basket presenta a Bologna il campionato di Serie A alla presenza del Premier Romano Prodi e in cui l’allora presidente Angelo Rovati annuncia l’accordo per la nuova sponsorizzazione el campionato con il marchio Omnitel:
“Un fulmine a ciel sereno - ricorda adesso Cazzola - Rovati fece una fuga in avanti tralasciando di avvertire noi consiglieri di Lega. Sapevamo di quella trattativa ma non eravamo convinti che fosse la scelta migliore. Io in particolare avevo chiesto un chiarimento sulla entità della sponsorizzazione: ero presidente di una Virtus a cui la Ferrero, con il marchio Kinder, garantiva una cifra molto alta di sponsorizzazione e se era possibile sponsorizzare tutto il campionato con una cifra come quella che per cui stavamo per concedere a Omnitel, gli sponsor delle squadre avrebbero fatto una riflessione seria sulla entità dei loro investimenti. Chiesi che ne parlassimo in Consiglio qualche giorno dopo l’annuncio di Rovati, con l’obiettivo che la cifra fosse allineata a quella delle altre grandi sponsorizzazioni di club. “Piuttosto – ricordo le mie parole – ci scrivo il mio nome sul campo. Rovati si alzò dalla sala e dopo 30 minuti tornò rassegnando le dimissioni. A quel punto tutti guardarono verso di me e mi dissero: visto che hai creato tutto questo casino, adesso è giusto ch ti fai carico delle conseguenze. “Nessun problema – dissi. E così iniziò la mia presidenza di Lega”.
Capace sempre di guardare in avanti, Cazzola, come tutti gli imprenditori di successo, si trovò anche baciato dalla fortuna: “Già, qualche giorno dopo ebbi un colloquio con l’amministratore delegato di Ford Italia, Massimo Ghenzer al quale prospettai l’idea di sponsorizzare il campionato: l’idea piacque e firmammo un accordo per la cifra di 3 miliardi e mezzo che era circa il doppio di quello che avrebbe portato il marchio Omnitel. A cui fummo costretti ad annunciare con un po’ di imbarazzo che non potevamo svendere il campionato”.
Da lì partì la rivoluzione di Cazzola: Flavio Tranquillo alla comunicazione, Massimo Zanetti segretario generale al posto di Sandro Crovetti che aveva rassegnato le dimissioni insieme a Rovati, e successivamente Andrea Bassani nel ruolo di Direttore Generale: “Una bella squadra – ricorda adesso Cazzola – al passo con i tempi, che cercò di instaurare con Tranquillo un nuovo modello di comunicazione e con Bassani una ricerca di ulteriori risorse alla Lega nel momento in cui stava esplodendo Internet e la new economy e bisognava conoscere bene questo nuovo settore del business. Come presidente io invece cercavo di capire come far crescere la Lega dal punto di vista politico ed istituzionale: andai in Spagna da Eduardo Portela per capire il segreto del successo della loro Lega che sino a qualche anno prima veniva da noi a Bologna a studiare il nostro modello. Il segreto della ACB era stata la capacità di staccarsi progressivamente dal rapporto diretto con la Federazione e avere un rapporto diretto con il Governo tramite il Consiglio Superiore dello sport. Una grande differenza rispetto a noi, costretti a dover sempre trattare ogni proposta o rifoma con Coni e Fip nel momento in cui invece si sentiva la esigenza di creare le basi per costruire club sani imprenditorialmente e capaci di sostenersi con le loro risorse. Questo non significava pensare ad una lega chiusa: io avevo ottimi rapporti con Petrucci che era alla guida della Fip prima di passare al Coni e poi con Maifredi ma avevo la consapevolezza che solo un progressivo aumento di autonomia, seguendo il modello spagnolo, ci avrebbe permesso la crescita definitiva del nostro sistema professionistico con l’obiettivo di migliorare i nostri bilanci”.
Il pugno di ferro con cui Cazzola governa lo porta subito in contrapposizione ad alcuni club: “Al momento della iscrizione al campionato 1998-99 come Lega verificammo che due club, Siena e Cantù, non avevano i requisiti per essere iscritti alla Lega e di conseguenza, secondo le nostre regole, per essere ammessi al campionato. Diedi loro tempo per mettere a posto le loro posizioni sino a quando fummo costretti a comunicare loro che non potevano iscriverle, proponendo la loro esclusione. Quella mia intransigenza fu mal interpretata: io volevo solo far rispettare le regole invece mi creai un gruppo di nemici. Ma soprattutto si creò un pericoloso precedente: i due club da noi esclusi si rivolsero alla Federazione che li ammise al campionato. Fu una prima, pericolosa prova che le regole che ci eravamo dati in Lega non contavano più: eravamo tutti d’accordo a parlarne ma quando si trattava di rispettarle…
Il secondo momento di imbarazzo fu il famoso derby Virtus-Fortitdo dove il ds della Fortitudo Santi Puglisi fu ripreso in diretta tv ad abbassare la paletta che segnalava il raggiungimento del bonus dei falli. Feci richiesta che Puglisi fosse squalificato: fu una mossa che, visto anche il ruolo istituzionale che ricoprivo, mi mise in difficoltà verso i miei colleghi ma io mi muovevo sempre e solo per il rispetto delle regole. Ma se mi chiedete se il presidente della Lega può anche essere presidente di un club, beh direi che in un paese come l’Italia, dove il sospetto è sempre presente, forse direi che è giusto che chi guida la Lega sia superpartes.”
Si apriva la strada verso un progressivo indebolimento della Lega che avrebbe portato ad un periodo di incertezza nel governo dei club: “Mi resta il rammarico di avere concluso anzitempo quello che era un grande lavoro di squadra, impostato dal mio staff e che era pronto a raccogliere grandi frutti: il culmine di quel lavoro fu la proposta di sponsorizzazione del campionato che avevamo in mano con Kataweb e che, anche per fare un dispetto a me a alla mia gestione, venne bocciata. Se firmata avrebbe portato una quantità incredibile di denaro alla Lega, rafforzando enormemente la mia presidenza. Stiamo parlando di una cifra del valore complessivo tra i 56 ai 62 miliardi di Lire per 5 stagioni di cui 50% cash e 50% in servizi di comunicazione di cui avrebbe beneficiato l’intero movimento di vertice. Un accordo di grande importanza che il nostro direttore generale Andrea Bassani aveva negoziato con Paolo Dal Pino, attuale presidente della Lega Calcio e a quel tempo manager di Kataweb. E guarda caso il primo avversario di quella proposta fu proprio Ferdinando Minucci che guidava Siena, uno dei due club di cui avevo proposto l’esclusione un anno prima”.
Di fatto si fermò un progetto di riforme strutturali che comprendeva anche un sistema di polizze assicurative, di accesso ai palasport con contratti negoziati direttamente dalla Lega. Uniti all’aumento della capienza dei palasport, fermato da un referendum tra i club che permise la sopravvivenza del limite di 3.500 posti, una capienza che Cazzola intendeva alzare: “Anche in quel caso il mio obiettivo era che pian piano tutti i club seguissero il nostro esempio come Virtus che aveva fatto dell’impianto e dei conseguenti incassi un asset fondamentale del proprio sviluppo. Incassavamo tanto grazie alla capienza di un impianto come il PalaMalaguti: ma io non volevo che quello della Virus restasse un caso isolato e ritenevo fondamentale che tutti i club potessero aumentare gli introiti dei loro botteghini lavorando per una politica di espansione che doveva necessariamente partire da impianti più moderni e capienti. Tutto il movimento ne avrebbe beneficiato, creando i presupposti, ad esempio, di una cassa comune in grado da distribuire ai club e in grado di riequilibrare il rapporto tra grandi e piccole. Un problema, quello degli impianti, che ho toccato con mano durante la mia presidenza del Bologna Calcio: anche qui fatichiamo a stare al passo con gli altri paesi europei che hanno stadi nuovi e di proprietà, in grado di presentare un prodotto appetibile per le tv e per i tifosi.. Una lezione che avevo appreso anche durante i miei viaggi negli Stati Uniti, visitando le arene della Nba, parlando con il loro “commissioner” David Stern. Il progetto era quello di creare una Lega e società sempre più solide anche patrimonialmente: quando entrai nel basket nel 1992, lo feci anche spinto dalla presenza di grandi imprenditori come Ferruzzi, Benetton, Stefanel, Scavolini, tutte persone con cui progettare un progetto di di sviluppo: purtroppo le cose furono lasciate a metà. Così, mentre definivo la cessione della Virtus a Madrigali, pianificai la mia uscita anche dalla Lega Basket”.
Venti anni dopo, Alfredo Cazzola vede nel basket di vertice “una situazione cristallizzata, con le stesse problematiche: il basket continua a piacere ma non riesce a dare una svolta: pochi proventi dalla tv, poche infrastrutture anche se qualche nuovo impianto è nato, club che faticano a reperire risorse. Io vedo una unica soluzione: dare al movimento professionistico una reale autonomia, mantenendo il rapporto con la Federazione in merito alla gestione degli arbitri, agli obblighi di dare i giocatori alla Nazionale, dandosi al contempo regole certe per lo sviluppo che tutti si impegnino a rispettare. Solo così torneremo ad attirare imprenditori come accadeva negli anni ‘90 quando iniziai la mia avventura nel mondo del basket”.