La sua presidenza può certo essere definita quella della svolta della Lega e del campionato di Serie A nella storia del nostro basket: accompagna gli anni ’70, tiene per mano la neonata Lega e la porta al primo contratto televisivo, alla storica creazione della Serie A1 e della Serie A2 e dei playoff per assegnare lo scudetto. L’onorevole Giancarlo Tesini, bolognese, una vita dedicata alla Fortitudo Bologna di cui è stato anche presidente, a 91 anni estrae dal cassetto alcuni ricordi di quegli anni:

“E’ stato certamente un periodo che ha rafforzato la presenza dei club e della Lega nelle scelte strategiche del basket e dei club e sono felice di averlo potuto vivere in prima linea. Tedeschi aveva aperto la strada due anni prima poi toccò a me raccoglierne il testimone anche se il candidato naturale, anche mio, alla guida della Lega era Gianluigi Porelli, che a quel tempo guidava la Virtus. E invece Porelli diventò il più grande sostenitore della mia candidatura: per lui ero l’uomo giusto, non solo per la mia passione e conoscenza dello sport ma anche per il mio ruolo in politica: ero già deputato della Democrazia Cristiana, membro della direzione del partito e dunque ero in grado di portare avanti nella sedi opportune le istanze del movimento. Che era in grande crescita ma aveva bisogno di una strategia di medio-lungo periodo. Alla fine accettai nonostante qualche perplessità iniziale, l’entusiasmo di Porelli mi convinse e iniziamo un cammino che aveva certo una visione davanti, Il movimento aveva al suo interno una fase di grandi potenzialità ma andava guidato: vi era il problema degli impianti, soprattutto tra nord e il sud, si dibatteva sul numero dei giocatori stranieri da poter schierare. Tutti argomenti che andavano affrontati con una visione organica”.

Ma questo si poteva fare solo attraverso un rapporto di collaborazione sempre più stretto con la Fip: “Sotto la mia presidenza la Lega fu ammessa al Consiglio Federale e io ne diventai anche vice presidente a simboleggiare che le riforme necessarie andavano fatte insieme. Se c’è una aspetto che rivendico del mio mandato e di cui vado fiero è proprio avere costruito una collaborazione costruttiva tra queste due istituzioni che ci permise di programmare una serie di riforme strutturali che avrebbero cambiato il mondo del basket. In quel delicato passaggio fu fondamentale il rapporto personale che ho avuto con il presidente della Fip Claudio Coccia e poi con il suo successore Enrico Vinci. Certo, vi furono anche scontri, noi come club reclamavamo poteri sempre maggiori alla Lega per garantire sostenibilità al movimento mentre vi era anche chi nella Fip cercava di darci un contentino per tenerci buoni senza accettare le nostre richieste sino in fondo”.

Nacque così la svolta con la richiesta di riforma che fu ufficializzata da una Assemblea di Lega tenutasi a Roma il 15 marzo 1974 e che poi l’avvocato Claudio Coccia presidente della Fip tramutò nello storico cambiamento di formula con la nascita della A1 e della A2, la prima con 14 squadre e la seconda con 10, scelte attraversi parametri precisi, come la capienza dei palasport) che avevano come obiettivo quello di far diventare il basket davvero nazionale.
“Non fu facile far passare quella riforma: mi trovai ad esempio ad affrontare la posizione contraria di Porelli: qualcuno gli aveva fatto sorgere il sospetto che quella riforma fosse costruita ad hoc per non far retrocedere in B la mia Fortitudo. Eravamo grandi amici ma certo la grande rivalità che sfociava nei derby di Bologna si faceva sentire anche se entrambi quando entravamo in Lega cercavamo il più possibile di metterli da parte. Pian piano però Porelli si rese conto che a guidare quella scelta non erano certo gli interessi individuali ma la semplice volontà di creare una maggiore saldatura tra il vertice e il resto del movimento, allargando il basket di vertice anche ad altre “piazze” grazie anche all’interscambio che la nuova formula prevedeva tra le due serie con la creazione della poule scudetto. Volevamo allargare l’interesse del basket e cancellare l’idea di una Serie A come un club d’elite dove facevano da padrone le solite squadre: Varese, Milano e Cantù che costituivano un campionato a parte. Fu l’occasione per portare il basket a Genova, a Trieste, Brescia, Brindisi: ma soprattutto si diede forza alla Lega mettendola al centro del movimento di vertice. Come detto non fu una operazione facile: anche l’Olimpia Milano di Bogoncelli era scettica: lui era rimasto legato alla vecchia idea di una A per pochi. Alla fine la spuntammo e fu la svolta grazie anche al lavoro di Piero Parisini che a quel tempo era segretario della Lega”.

Una coppia, quella formata da Tesini e Porelli, che ha posto le basi per la nascita di quella che diventerà Basket City:

“Gigi era il vero dominatore – ricorda Tesini – l’uomo che parlava con le società, teneva i rapporti con Bogoncelli, che doveva essere sempre informato e si considerava il padre nobile del basket, poi con Gualco che rappresentava Varese e Allievi di Cantù: ne captava gli umori e me li trasmetteva. Era bello lavorare insieme, ci completavamo a vicenda in uno spirito di grande collaborazione. Era un ariete, un trascinatore e senza di lui non avremmo potuto portare avanti le altre grandi riforme, come ad esempio quello sulla capienza degli impianti”.

Con la triade Coccia-Tesini-Porelli nacque la decisione di alzare la capienza degli impianti a 3.500 posti a partire dalla stagione 1972-73 che costrinse Cantù a lasciare la vecchia palestra Parini e trasferirsi per una stagione a Brescia prima che la operosità brianzola portasse alla costruzione del Pianella. O la Reyer Venezia a lasciare la mitica palestra della Misericordia per trasferirsi a Vicenza (dove sarebbe rimasta per due stagioni) e porre le basi per la costruzione del nuovo palasport all’Arsenale. Scelte difficili ma tutte nell’interesse della crescita del movimento:

“Già da qualche stagione non si giocava più all’aperto ma era necessario un salto di qualità. Così decidemmo che la capienza minima per la Serie A dovese salire a 3.500 posti: tutto rientrava all’interno di una visione strategica di sviluppo del basket. Anche questa scelta non fu facile ma portò risultati, migliorarono i palasport, i comuni e le realtà locali capirono i nostri sforzi e contribuirono a far crescere il movimento, Io diedi il mio contributo, portando nelle sedi opportune, comprese quelle delle politica, la necessità di aiutare la realizzazione di quelle riforme che avrebbero portato ad un ulteriore sviluppo del basket. Fu, in definitiva, un successo della Lega e una affermazione della nostra autonomia, nel rispetto delle singole competenze”.

Un altro tassello importante fu il rapporto con il mondo della informazione per sostenere lo sviluppo del movimento e anche qui il ruolo di Tesini fu fondamentale:

“Fummo la prima Lega a stipulare un contratto televisivo con la Rai e in questo fui certo aiutato dal mio ruolo di membro della Commissione di Vigilanza della Rai che mi permetteva di parlare direttamente con l’allora direttore generale Ettore Bernabei: definimmo così un accordo che ci permise di entrare nelle case di tutti gli italiani con un appuntamento fisso alla domenica pomeriggio.”

Il messaggio che Tesini ci lascia è chiaro: la Lega deve lavorare per una sempre maggiore autonomia che però non può prescindere da un rapporto con la Fip come avvenuto ad esempio nella decisione di fermare il campionato per l’emergenza COVID 19: “Ho apprezzato molto la posizione di Petrucci su questo argomento e ne condivido in toto le ragioni: non vi erano le condizioni per riprendere il campionato di fronte a una emergenza inattesa che ha travolto tutto e mi è piaciuta la ragionevolezza con cui il movimento cestistico ha saputo fermarsi di fronte ad una grande tragedia”.

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