Sei giorni di esaltazioni e festeggiamenti, in attesa che l’altra serie sfornasse la finalista e con la disperata necessità di trovare non solo una solidità fisica – visti gli acciacchi di Italiano e le febbri di Amoroso – ma anche di provare a restare con i piedi per terra, visto e considerato che le recenti cronache hanno disquisito solo di gioia, amore e strombazzamenti vari. Chiaro, ricordando come stavano le cose non tanto in settembre, ma anche solamente pochi mesi fa (non dimentichiamo che la Fortitudo a Pasqua non era nemmeno tanto certa di fare i playoff), arrivare in finale è già roba da raccontare ai nipoti e ai pronipoti. Però, arrivati a questo punto della stagione, abbassare la guardia solo perché di punto in bianco ci si accorge che la pancia è già un po’ troppo piena, sarebbe peccato mortale: alla fine, lo si sa, i secondi in classifica non portano a casa niente. E lo si sa bene in casa Fortitudo, ricordando come tra il 2001 e il 2004 si arrivò spesso secondi, con le memorie che tramandano la sconfitta in finale più dell’arrivo, a questa finale. Che non era poi tanto scontata, in alcuni casi.

Boniciolli arriva alla finale sapendo che tanto del miracolo è passato dal suo lavoro e dalla sua caparbietà, e magari qualcuno all’orecchio gli ricorderà le critiche estive, di quando Radioportico lo accusava di aver tenuto una squadra mediocre, senza grandi acquisti, solo per avere dei soldatini e fare il proprio comodo. Indipendentemente da quale sia stata la filosofia di costruzione dell’attuale Fortitudo, e magari dimenticando l’unico sfondone (Lestini, evitabile a prescindere), oggi come oggi è difficile dargli torto su qualsiasi cosa. E l’unico problema che hanno oggi i giornalisti, alla fine delle gare vinte, è trovare un MVP tra i singoli. Perché, quasi sempre, la cosa non è possibile: tutti portano mattoni, nessuno escluso, e senza che ci sia bisogno dell’eroe del giorno. Chiaro, qualcuno si mette in luce (Montano, in ultimo), ma con gli hurrà che comunque non possono prescindere anche dall’altrui lavoro.

Brescia, quindi. Seconda in classifica nel girone orientale, con buona forza casalinga (12-3) e non indifferente capacità esterna (9-6), la squadra lombarda nei playoff ha inserito David Moss (13+7 solo nelle gare ad eliminazione diretta) e ha dovuto in tutte le serie (Trapani, Tortona e Scafati) arrivare fino a gara 5. Tenendo il proprio campo illibato e vincendo in trasferta una sola volta, l’unica necessaria, ieri contro Scafati. Con il ricordo delle due sfide di regular season, anche queste seguaci dell’uno in schedina, e con la necessità quindi per la Fortitudo di rompere la tradizione (peraltro, sgrat sgrat, l’ultima vittoria di una realtà di Brescia al Paladozza risale al 1988, quando i lombardi, ultimi in classifica ma con squadra che centellava in ogni dove – beccandone centodieci – sconfissero la Virtus di Cosic. Attenti ai lunghi Hollis e Cittadini, oltre che a Moss, ai registi Passera e Fernandez, e un grande quesito. Teo Alibegovic, per chi farà il tifo? Per la sua adoratissima Fortitudo, o per la Brescia dove gioca il figlio Mirza? Chissà.

Si inizia domenica, ore 18, diretta Sky.

FORTITUDO, LA FINALE SARA' CONTO BRESCIA
PESARO - FORTITUDO SUPERCOPPA 2001, PAGELLE E STATISTICHE