RUBEN DOUGLAS, "NON CREDEVO DI ESSERE RIMASTO COSI' NELLA STORIA. QUEL TIRO? HO TEMUTO CHE CE LO ANNULLASSERO, DATO CHE C'ERA GIORGIO ARMANI IN PARTERRE"
A Radio 108 è stato ospite Ruben Douglas, a 15 anni dal tiro che portò la Fortitudo allo scudetto.
Nell’immaginario fortitudino, il tuo tiro è più di quelli di Michael Jordan contro Utah. “E’ stato qualcosa di epico, ma non mi voglio paragonare a lui…”
Hai capito subito che era buono? “Pensavo fosse buono, ma temevo che giocando in trasferta, a Milano, con Giorgio Armani in parterre, la pressione potesse spingere gli arbitri a cambiare idea”
E’ stato un tiro preparato, o puro istinto? “Più istinto che altro, mancava davvero poco tempo. Quando Basile mi ha passato la palla dopo l’errore di Calabria non ho potuto pensare a molto altro, se non tirare. Ho cercato il canestro: chiaro che magari in allenamento ci si provava, ma lì è un’altra cosa”
Quando hai davvero capito cosa avevi fatto? “Quando ho visto che la partita era finita, e oltre alla gioia ho capito che ce l’avevamo fatta e che sarei potuto tornare a casa a rivedere la mia famiglia”
E’ stata una finale che avete giocato senza Vujanic e con il taglio di Pozzecco. La cosa ha aumentato la pressione su di voi? “Pozzecco è stata una cosa strana, l’abbiamo scoperto al ritorno da una trasferta ad Avellino. Era un ragazzo molto positivo, carismatico per lo spogliatoio, e non nascondo che la cosa ci ha un po’ rattristato. Per quello che riguarda Vujanic, intanto dispiace quando un amico e compagno si fa male, poi il problema è stato che eravamo stati costruiti con lui e tutti noi, alla fine, abbiamo dovuto fare un passo in avanti, stringerci e crescere. Non c’è stato un aumento di pressione, ma solo la necessità di potenziare il nostro gioco”
Repesa è stato cruciale per voi, quell’anno? “Assolutamente. E’ stato uno dei migliori allenatori che io abbia mai avuto in carriera. Ha una forte mentalità, ha saputo creare la giusta amalgama per arrivare alla vittoria. E non aveva un compito facile, perché la squadra era piena di giocatori talentuosi che volevano avere la palla in mano”
La chiave della stagione? “L’amicizia tra di noi. Lo spogliatoio era forte, uscivamo anche insieme per andare a mangiare alla Braseria. E ancora adesso ci sentiamo: la vera chiave è stata la chimica”
C’è stata, in stagione, una vittoria particolare che vi ha fatto capire che potevate arrivare fino in fondo? “Una vittoria al Paladozza contro il Tau, ma a volte anche le sconfitte sono importanti per capire quello che ti serve per crescere e raggiungere un obiettivo particolare”
Lo scorso anno sei venuto a Bologna per il Playground. Che legame hai con la città? “Non pensavo di essere così famoso, quando sono tornato. Ho visto tanti amici, ad esempio Carlos Delfino, è stata una bella emozione, peccato non abbia potuto giocare… Amo Bologna, come anche tanti altri posti in Italia, ad esempio la Sardegna, il Lago di Como o Napoli”
Con chi sei più in contatto? “Basile, Bagaric, Mancinelli, a volte con Pozzecco ma è troppo pazzo…”
Il ricordo del tifo Fortitudo? “Per me numero uno. Mi hanno sempre dimostrato amore, affetto, c’è chi ha tatuato il mio tiro… Spero possano vincere un altro campionato allo stesso modo”
Dopo la Fortitudo hai vinto a Mosca, ma non sei mai andato in NBA. “Non ho rimpianti, può sembrare strano. Magari all’inizio poteva dispiacermi, ma ho fatto la mia carriera, ho guadagnato, ho conosciuto tante persone, ho visto tanti posti, e altre cose che non hanno prezzo. Di certo mi sono arricchito di altro, umanamente”
Cosa fai adesso? “Alleno in una high school, cerco di insegnare fondamentali e non solo passare e tirare, ma anche condivisione di amicizia. Ho tentato di avere contatti per allenare le giovanili Fortitudo, ma la strada non si è concretizzata”
Come è stata la quarantena? "Stranissima, sono rimasto chiuso in casa con la famiglia cercando di capire cosa stesse succedendo e di stare al sicuro. E non sono di certo stato ad ascoltare Trump"
Hai avuto problemi di razzismo in Italia? "A parte qualche 'nero di merda' a Milano dopo il tiro direi di no, ma lì non penso fosse un problema di razzismo. In Italia non ho avuto di queste esperienze, ma negli USA il problema c'è. Ed è deflagrato con gli eventi più recenti"
Lo sport può essere chiave per battere il razzismo? "Può fare la sua parte, ma non del tutto. Ci sono tante cose che vanno sistemate, anche prima di tornare a giocare"