I 50 anni della LBA. Villalta e il primo, storico accordo tra Lega e GIBA :'Una controparte forte per la crescita del movimento'

Denominato “Mister 400 milioni” per il clamoroso trasferimento dalla Duco Mestre alla Virtus Bologna nel 1976, bandiera della squadra bianconera che condusse allo scudetto della stella del 1984, protagonista in azzurro, sino a rivestire la carica di Presidente della sua Virtus alcuni anni fa. Renato Villalta ha vissuto un momento importante nella storia del basket, firmando nel settembre 1987 da presidente della neonata GIBA (Associazione Italiana Giocatori di basket) l’ormai storico accordo collettivo con la Lega guidata a quel tempo da Gianni De Michelis.

Una associazione, quella de giocatori, nata nella mente di Villalta “in maniera spontanea, da chiacchierate nello spogliatoio con qualche giocatore, dalla consapevolezza che dovevamo lavorare insieme, che l’unione sarebbe stata una forza non solo per tutelare i diritti delle stelle come il sottoscritto che comunque aveva un forte potere contrattuale ma anche del nono e del decimo giocatore della rosa. Fui affiancato dall’avvocato Bertani, mio grande amico, negli esordi di quello che piano piano diventò quasi un secondo lavoro: allenamenti e poi viaggi, più o meno segreti, a Milano in altre città, ad incontrare giocatori per convincerli ad unirsi nella nostra associazione. Cercando di convincere soprattutto i più famosi perchè era importante, anche a livello di immagine, che vi fosse la loro firma”.
Un lavoro che porta prima alla nascita della associazione e poi al primo storico, accordo collettivo con la Lega presieduta da Gianni De Michelis:
“L’avvocato Poreli fu il grande artefice di quell’accordo perché aveva capito le nostre ragioni ma soprattutto perché gli piaceva sempre l’idea che i club avessero controparti forti, capaci di avanzare proposte collettivamente con obiettivo la crescita del movimento. Nel nostro caso una associazione capace di tutelare tutte le fasce di giocatori. Porelli costituiva con De Michelis una coppia che si completava perfettamente: De Michelis metteva al servizio del basket la sua presenza e il suo carisma, Porelli con il lavoro quotidiano realizzava le proposte. Furono così stabiliti alcuni principi fondamentali, in vigore ancora oggi: come ad esempio il compenso minimo, il fondo di fine rapporto, alimentato dal club e dal giocatore e la assicurazione obbligatoria contro gli infortuni.”
Anche se adesso guarda il basket da fuori, da semplice appassionato nella prima fila del PalaDozza, Villalta guarda con soddisfazione a quel tempo ma anche con qualche rimpianto: “Soddisfazione perché la associazione aveva acquisito credibilità e solidità, acquistato una sede e accreditandosi come una seria controparte. Rimpianto perchè forse dal punto di vista delle garanzie pensionistiche avremmo dovuto fare di più. Alla attuale dirigenza della GIBA consiglio di lavorare sempre più per preparare i giocatori al dopobasket e a come inserirsi nel mondo del lavoro, mettendo a frutto un diploma o ancora meglio una laurea. Si può fare, penso all’esempio di Ricci della Virtus che deve costituire un modello. Giocare e studiare è possibile, nei tempi e nei modi previsti dal professionismo di oggi”.

In una situazione difficile, Villalta vede lo spunto per aprire una nuova fase del basket di vertice “dove porsi delle domande: ad esempio se non è il momento di prendere atto che questo tipo di professionismo regolato dalla Legge 91 è superato. Quando ho fatto il presidente della Virtus mi sono accorto sulla mia pelle di quanto incidano questi costi sui club, con la necessitò di pagare contributi anche e soprattutto per i giocatori stranieri che poi nella realtà non rientrano nelle tasche di questi atleti. Poi servono investimenti forti sui vivai per tornare a produrre giocatori italiani grazie ad adeguati incentivi che premino le società che realmente producono e impiegano i giovani italiani, non quelle che fanno giocare gli over 30: sancendo il principio che deve aver spazio nella massima serie solo chi se lo merita, senza inutili forme di protezionismo che non alzano la competitività. E ai cestisti italiani dico di non avere paura anche di andare all’estero a provare nuove esperienze: guardiamo l’esempio di Melli e della sua esplosione in Germania. Poi, quando avremo un numero adeguato di italiani penseremo anche a ridurre il numero di stranieri, lasciando ovviamente la possibilità alle squadre che devono misurarsi nelle coppe europee di averne un numero maggiore per mantenere adeguata competitività in campo europeo”.
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