Coach Sasha Djordjevic è stato intervistato all’interno del podcast argentino R24 e ha parlato della situazione attuale del basket e anche del Mondiale della sua Serbia.

“Ho deciso di non muovermi da Bologna perché ho sempre del lavoro da fare, anche la mia famiglia è qui con me, stiamo insieme e stiamo bene. Non sono numeri quelli delle persone che stanno morendo ogni giorno e che stanno soffrendo, sono persone che sono in difficoltà. La verità è che dobbiamo fare tutti un grande esame di coscienza: quando usciremo di casa dovremo essere cambiati, più responsabili, anche noi che abbiamo un ruolo preciso all’interno della società. All’inizio mia figlia che studia a Madrid è rimasta lì, poi dopo due settimane, prima che chiudessero tutte le frontiere, è andata a Belgrado e poi è arrivata qui. Mio padre e mio fratello sono a Belgrado, tutti soffriamo questa situazione più grande di noi: viviamo tutti in una pressione quotidiana. Ho alcuni amici e conoscenti che stanno soffrendo, non è facile.”

“La Federazione ha deciso di non assegnare il titolo. Da quando è iniziata la stagione abbiamo fatto molto bene, anche dal punto di vista societario stiamo crescendo, soprattutto in Europa con l’EuroCup. Ricordiamo sempre dove è arrivata la Virtus nel tempo, gli obiettivi che questo club ha raggiunto nella sua storia: il mio è sempre quello di riportare lì questa società, di farla tornare ad essere un club importante come prima. Non importa se ti danno il titolo o meno, non è questo il momento, non è così che noi sportivi vogliamo vincere i titoli. Il titolo che vogliamo venga assegnato è il titolo della normalità, della possibilità che la gente esca. Se c’è da assegnare qualcosa lo facciamo alla gente che lavora negli ospedali, perché è veramente un lavoro molto molto dispendioso.”

“Ognuno sta esprimendo il proprio pensiero. Qualcuno si può sentire campione senza che ti venga assegnato niente: con i miei ragazzi oggi mi sento campione perché sono molto orgoglioso del rapporto e della professionalità che ancora oggi abbiamo. Una cosa che mi ricorderò per tutta la vita perché è questo che ti da continuità per il futuro e noi lo abbiamo fatto dall’inizio, negli allenamenti e nelle partite.”

“Penso che dobbiamo avere coraggio per andare avanti, a testa alta. Bene, abbiamo passato un brutto momento ma dobbiamo avere orgoglio. Dopo la pioggia arriva il sole e non ci dobbiamo sentire sconfitti: abbiamo perso una battaglia ma non la guerra. Dipenderà tutto dalle decisioni governative, dal modo in cui il mondo ripartirà nei prossimi mesi, dalla possibilità di entrare nelle palestre ma soprattutto dipenderà dalla presenza del pubblico. Il primo obiettivo è avere il pubblico: fino a questo momento in Italia abbiamo avuto una grandissima risposta dal pubblico, anche grazie a campioni come Teodosic, Rodriguez, Markovic, Messina e tutti noi che lavoriamo ogni giorno. I numeri di quest’anno sono buoni, la gente è tornata ad avere passione e attaccamento; soprattuto a Bologna, con due club storici come Virtus e Fortitudo.”

I ricordi di Argentina-Serbia del Mondiale? “Siamo arrivati a quella partita stanchi, dopo un viaggio difficile. In più il tutto coincideva con la morte della mamma di un nostro giocatore, per una squadra che era già in difficoltà per alcuni infortuni, soprattutto quello di Teodosic. Non abbiamo avuto il tempo necessario per preparare bene la partita, soprattutto a livello mentale. Fu una partita molto difficile per noi. Sono rimasto però contento per Luis Scola, che secondo me è il giocatore che ha avuto un grandissimo impatto sul basket nella sua carriera, grazie al suo amore e sacrificio per la Nazionale. Quella partita per lui è stata quella che gli ha permesso di entrare nella leggenda: è stata la ciliegina sulla torta per lui, quello che meritava. All’inzio di quella gara l’impatto dell’Argentina è stato devastante: Campazzo, Vildoza, Laprovittola hanno fatto una grandissima partita. Noi abbiamo iniziato con poca energia e poca lucidità nella scelta dei tiri: quello che rimprovero è il fatto di non aver avuto modo di prepararla bene, con il nostro capitano Teodosic che è un giocatore che ha carattere per giocare quel tipo di partite. È stata la mia ultima esperienza con la Nazionale: non ho completato il ciclo, abbiamo tanti giocatori che hanno ancora tanto da dare.”

“Io sono molto attratto dalla Nazionale argentina, una squadra che ha carattere e che rispecchia l’attaccamento al Paese e alla sua storia. Non per niente sono tra i migliori negli sport di squadra, che rappresentano il carattere di un paese, la capacità di uscire bene anche dai momenti negativi.”

Come spiega la potenza della Spagna nel basket? “Io la prima cosa che dissi in una delle prime conferenze da allenatore della Nazionale fu che dovevamo vincere contro la Spagna. Vincere contro i migliori, perché la Spagna è la migliore: l’attaccamento alla maglia della Nazionale, il carattere, la forza di giocare per il proprio paese, tutte cose che la Spagna ha: Gasol, Fernandez, Lull, adesso anche Rubio che è da dieci anni con la Nazionale, è impressionante. La verità è che la Spagna da 35 anni gioca il basket migliore nel suo campionato, con regole chiare per gli stranieri, con squadre giovanili, con gli sponsor, con il seguito dei media, con i grandi club che hanno le polisportive. La Spagna è la base per prendere esempio e anche la scuola di allenatori lo dimostra. Io vengo dalla scuola jugoslava ma adesso c’è la scuola spagnola per gli allenatori. È un vero patrimonio, insieme anche alla Francia.”

Lo strapotere degli Stati Uniti nel basket è al termine? “Io durante la qualificazione al Mondiale ho detto ai miei giocatori che un giorno avrebbero perso una partita e perché non contro la Serbia. Tutti i giocatori mi hanno capito perché conoscono le mie frasi. Gli Stati Uniti hanno capito che ogni volta devono giocare con i migliori, perché le altre selezioni sono cresciute rispetto al passato. Noi abbiamo vinto contro gli USA in una partita giocata molto bene, nonostante i problemi fisici. Nel mio staff c’erano due allenatori che erano di scuola americana e questo ci aiutò molto.”

Un pensiero all’NBA? “In questo momento ho molto chiaro che per la mia crescita devo ancora fare qualche stagione qui in Europa, poi chissà, perché no. Non so in questo momento come e quando ma può essere un obiettivo, ma in questo momento non è una priorità. È una cosa che potrà accadere se ci saranno le condizioni.”

(foto FIBA Europe)

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