DOMANI LA PRESENTAZIONE DEL LIBRO DI KLAUDIO NDOJA. "CHI MI OFFENDE NON SA TUTTO QUELLO CHE ABBIAMO PASSATO"
Domani all’Ambasciatori ci sarà la presentazione del libro “La morte è certa la vita no” di Klaudio Ndoja. Il giocatore ne ha parlato a Luca Sancini di Repubblica.
“A me piaceva il calcio, ma giocarci, durante la guerra civile, era pericoloso per via delle sparatorie. Mio padre allora mise un canestro in giardino e disse che avrei giocato solo in quel modo. Ma una pallottola vagante ferì mia sorella, e allora decidemmo di partire verso la puglia, in gommone. Arrivamo nel 1998, dormendo nello scantinato della fabbrica dove lavorava mio padre. Ero senza documenti, mi sentivo invisibile. E per questo mi incazzo quando mi insultano per la mia origine: è gente ignorante, se riflettessero, capirebbero che se un padre preferisce mettere i propri figli in mare c’è qualcosa che non va. E io sui gommoni ho rischiato di annegare. Il caso Umeh-Amici? Meglio non parlare, c’è una indagine in corso.
Io iniziai a giocare all’oratorio di San Palazzolo Milanese, un prete mi notò, Don Marco, poi passai a Desio, a Casalpusterlengo con il permesso di soggiorno, e poi su fino ad ora.
Italia o Albania? Sono patriota, non nazionalista, vorrei tornare a casa alla fine, ma senza l’Italia non sarei quello che sono.
Domani ci saranno anche coach e presidente? Apprezzo il gesto, sono persone speciali. Il coach è un puro, a Verona non salimmo in A e ora sono felice per lui. Il presidente insegna tante cose, e sa dire parole che commuovono.
Il mio nome? Nasce dall’amore di mia nonna per Claudio Villa”