La storia della Virtus femminile è finita ieri, giovedì 20 giugno, con le parole di Luca Baraldi, che ha parlato di "decisione sofferta, e per questo molto ponderata", e ha dato l'annuncio ufficiale - in TV - dopo aver informato il presidente Federale Petrucci e quello di LBF, Protani.
Onestamente la decisione era nell'aria da qualche settimana, l'aria di smobilitazione era percepibile, e le alternative possibili erano due. O un fortissimo ridimensionamento, facendo una squadra giovane e giocando in un palazzo molto più piccolo (Castel San Pietro era una possibilità, visto l'accordo con la Magika per le giovanili) oppure la chiusura. E' stata scelta la seconda, e probabilemente non è un caso che la decisione arrivi proprio nel momento in cui gli equilibri interni alla società bianconera stanno cambiando, visto che il principale sostenitore delle ragazze bianconere era proprio Massimo Zanetti.

Dal punto di vista pratico, questa decisione consentirà alla Virtus di risparmiare circa 3 milioni di euro, di cui una quota verrà dirottata sull'attività giovanile (anche femminile, ha specificato Baraldi) e la maggior parte andrà nel budget della maschile.

Per il resto, quando una squadra chiude la delusione è inevitabile, anche se bisogna constatare che in 5 anni di esistenza la Virtus femminile aveva costruito ben poco. Nata sulle ceneri della Matteiplast di Gianfranco Civolani, che giocava al CRB e aveva un suo nucleo di pubblico piccolo ma decisamente appassionato, la Segafredo femminile non è mai riuscita a smuovere il pubblico bolognese, dove di tradizione femminile ce n'è sempre stata poca. 
A Zanetti i nomi altisonanti - Zandalasini su tutti - e i grandi investimenti (rapportati alla media del basket femminile italiano, Schio a parte) non sono bastati, così come le frequenti dichiarazioni sul fatto che si tenesse più ai risultati della femminile rispetto a quelli della maschile, non particolamente gradite dai tifosi bianconeri, per usare un eufemismo. Si è raccolto ben meno di quanto speso, e ci sono state tante rivoluzioni tecniche. Otto allenatori cambiati in cinque anni (Giroldi, Liberalotto, Serventi, Lardo, Gianolla, Ticchi, Vincent, e Mendez dimesso in estate) e un rapporto non facile con il Comune di Bologna per il PalaDozza, che aveva costretto la squadra negli ultimi tempi a migrare alla Segafredo Arena, dispersiva e molto costosa da aprire. E nonostante le due finali scudetto e la Supercoppa vinta - unico trofeo vinto in cinque anni - e nonostante i pienoni (gratis) al PalaDozza per le finali scudetto il pubblico non è mai stato fidelizzato, tanto che nelle poche volte in cui l'ingresso è stato a pagamento, i presenti si contavano in poche centinaia. Insomma, inutile girarci intorno, un esperimento fallito. 

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