Intervistato da Gigi Riva su Repubblica.it, Ettore Messina ha fatto il punto della situazione dalla Nazionale dopo aver perso Danilo Gallinari.
Ecco un estratto delle sue parole.

Sul gesto di Gallinari. Un gesto che non mi spiego. Inaccettabile. Un esempio di giustizia fai da te che mi repelle nella società, figurarsi nello sport.
Ha chiesto scusa, era mortificato. Ma io non avevo molta voglia di parlargli. È difficile spiegare a un uomo di 30 anni concetti come lealtà e responsabilità.


Sull'influenza del suo gesto. Influirà di sicuro perché mancherà il suo talento. Però lo sport è pieno di situazioni che si ribaltano grazie a concetti vecchi come umiltà, coesione, voglia di superare i propri limiti.

Sull'avere ansia, avendo perso Gallinari, Gentile e Bargani dall'anno scorso. No. Perché vincere non è tutto. Basta guardare la nazionale femminile. Non ha preso la medaglia, però ha fatto innamorare i tifosi per come ci ha provato. Ci sono tanti modi di vincere. L'anno scorso, nella partita decisiva con la Croazia siamo stati tremebondi e insicuri. Questo mi ha fatto stare male. Vogliamo lasciare un ricordo diverso. Per gli altri, ma anche per noi stessi.

Sull'ossessione di vincere a ogni costo. Lo sono stato. Sono cresciuto così, con quell'ossessione. La sconfitta era la fine di tutto, mi portavo dentro la tempesta a casa, in bagno, al cinema, per strada. Sentivo quelli che sostenevano che è più importante il viaggio. E non capivo, finché lo dicono gli altri e non diventa una tua intima convinzione, ti sembrano solo parole. Da qualche anno qualcosa è cambiato, forse sarà stato per la nascita di mio figlio. Adesso è come se avessi fatto una conquista, ho imparato a godermi il percorso.

Sulla vulgata del "vince chi ci crede di più". No. Ciascuno di noi è diverso. C'è chi è capace di vincere con leggerezza. Quando conquistammo per la prima volta l'Eurolega a Bologna nel 1998, mentre preparavo il match con la lavagnetta, sentii Sasha Danilovic, uno che aveva la paranoia della vittoria, chiedere: "Avete i sigari?". Non ci feci caso. A fine partita spuntarono i sigari, gli spray per farsi i capelli biondi. Era contro ogni regola. Pensavano a festeggiare ancora prima di avere vinto perché dentro di loro avevano questa certezza. Se me ne fossi reso conto magari avrei "sclerato" e creato del casino inutile.

Sul lavoro di "gestione del gruppo" del coach. Ecco una parola che non mi piace. "Gestire" ha il sapore della manipolazione, come se mettessimo le mani per impastare qualcosa. Noi semmai insegniamo un metodo. Si fa anche un'analogia tra una squadra e un'orchestra. Niente di più falso. L'orchestra suona su uno spartito scritto da qualcuno 300 anni fa. Una squadra, semmai, è un gruppo jazz, una jam session, gli artisti suonano a turno e sanno quando devono lasciare lo spazio agli altri. Una squadra persegue un obiettivo difficile perché deve combinare altruismo ed egoismo.

Sulla differenza tra vincere con un club e con la nazionale. Enorme, anche per la carriera. Noi italiani siamo bravi a unirci dietro i successi di una nazionale sportiva. Quando, in generale, siamo più propensi a subire il fascino dell'uomo forte e unico. Saremmo messi meglio se, così come per lo sport, ci esaltassimo per una squadra di governo forte.

Sul fatto che si vinca con cestisti abituati a vincere. Dipende se hai vinto con ruolo da protagonista o meno, non è la stessa cosa. Posso essere stato molto bravo in un team dove c'erano due giocatori che erano punto di riferimento, ma non è detto che quando tocca a me essere il faro io ne sia in grado.

Un messaggio ai tifosi italiani. Voglio usare un termine anche se so che non è molto popolare: saremo una squadra seria.

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BIGNAMI CASTELMAGGIORE - UPEA CAPO D'ORLANDO 93-91