ALESSANDRA TAVA: “GIOCO PERCHÉ MI EMOZIONO, SCRIVO PERCHÉ MI SUCCEDONO COSE”
Sedicesima puntata della rubrica “Dual & Post Career”.
La protagonista è Alessandra Tava, giocatrice di basket e scrittrice.
Ala grande, classe 1991 di 184 cm, dopo le giovanili a Castelnuovo Scrivia e Roma ha giocato in A2 a La Spezia (dove ha vinto la Coppa Italia di categoria nel 2011) e Orvieto, ottenendo la prima promozione nella massima serie nel 2012. La carriera prosegue a Bologna, poi il ritorno a La Spezia, prima dell’esperienza in Svezia, giocando nella prima lega del paese scandinavo e in Eurocup. Dopo la parentesi all’estero torna a Bologna, dove vince per due volte la Serie A2, nel 2017 e nel 2018. Attualmente gioca in Serie A1, con la Virtus Bologna.
Con la maglia dell’Italia ha giocato nelle giovanili, vincendo un Campionato Europeo Under 16 di Division B e collezionando una presenza nella Nazionale maggiore.
Nel mese di agosto 2020 ha fatto il suo esordio come scrittrice con il romanzo “Buttati che è morbido”, pubblicato da Albatros.
Questa è la nostra intervista.
Alessandra, nel suo celeberrimo incipit di “Anna Karenina”, Lev Tolstoj scrive: «Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è invece disgraziata a modo suo». La premessa letteraria è d’obbligo per chiederti: scrivere un libro dà la stessa felicità di vincere un campionato o un trofeo?
«Forse vendere un milione di copie sì, ma purtroppo non posso ancora paragonare le due cose. Scherzi a parte credo di no. Il picco di emozione che si raggiunge nel momento in cui suona la sirena e ti accorgi di aver vinto un campionato non è paragonabile alla gioia, seppur enorme, di aver pubblicato un libro».
Nella tua pagina Facebook, “Alessandra Tava – libri”, affermi: “Scrivo perché mi succedono cose”. Il motivo per cui giochi a basket, invece, qual è?
«Scrivo perché mi succedono cose, gioco perché quando sono in campo sento cose. E parlo principalmente di emozioni. Giocare a basket mi emoziona, ancora oggi come il primo giorno. La scrittura e il basket hanno una cosa in comune: mi fanno sentire me stessa».
Hai vinto 3 volte la Serie A2 e una Coppa Italia di Serie A2. La vittoria più cara e perché?
«25 maggio 2018. Spareggio promozione per salire in A1. È la vittoria più cara per svariati motivi: per determinate cose che erano successe durante la stagione, per come si era messa la partita (eravamo a -19 a metà terzo quarto), per le sensazioni provate quando è suonata la sirena e soprattutto per le persone che erano in campo con me in quel momento. Ho avuto la fortuna di vincere avendo accanto amicizie vere e avendo sugli spalti gli affetti più cari. È stato magico».
Hai giocato anche in Svezia e vissuto anche a New York e Panama. C’è un posto nel mondo in cui ameresti mettere radici?
«In questo momento ti rispondo Bologna. È una città che mi ha accolta fin dal primo giorno. Qui mi sento a casa. Nella vita mai dire mai, potrebbe succedere di tutto e potrei cambiare idea ma, ad oggi, è Bologna che vedo nel mio futuro».
Laureata in Scienze della Comunicazione e con un Master in Web Communication & Social Media, oltre a calcare il parquet collabori con radio e magazine sportivi. Il tuo post career è già delineato?
«Non sono più una ragazzina ed è quindi normale pensare alla vita dopo la pallacanestro. Di delineato c’è ben poco, però posso dire in questi anni di aver lavorato per costruirmi un futuro anche al di fuori del basket e spero prima o poi di raccogliere quello che ho seminato. Di certo mi auguro di poter fare qualcosa che mi appassioni e mi entusiasmi».
Da pochi giorni è uscito il tuo primo libro, che è un romanzo e si intitola: “Buttati che è morbido”. Quanto c’è di autobiografico?
«Buttati che è morbido non lo posso definire autobiografico, i protagonisti sono quattro – Giovanna detta Vanna, Ginevra, Richard, Leon – e io non sono nessuno di loro, ma in realtà sono un po’ in tutti. Diciamo che chi mi conosce mi può ritrovare tra le righe. Ovviamente il libro è romanzato, ma molti episodi sono successi a me o alle persone che ho avuto la fortuna di conoscere vivendo a New York».
Cosa pensano le tue compagne sul fatto di avere una scrittrice in squadra?
«Le mie compagne sono fantastiche, hanno comprato tutte il libro (addirittura le straniere che non leggono in italiano) e mi rende felice avere il loro supporto. In realtà il mio capitano Elisabetta Tassinari, che è riduttivo chiamare solo capitano perché per me è prima di tutto un’amica, mi ha aiutato nella stesura, leggendolo prima di qualsiasi casa editrice e dandomi feedback preziosi».
Come e dove ami scrivere, quando e con quale liturgia?
«Sono un’appassionata della carta e della penna. Ho sempre un quaderno in borsa, il fascino di scrivere a mano per me non ha eguali. Poi, per ovvi motivi, mi ritrovo spesso a scrivere a computer. Non c’è un particolare momento in cui scrivo nell’arco della giornata e nemmeno un determinato posto. Certo, ci sono luoghi a me cari in cui mi riesce meglio concentrarmi, ma dipende dalle giornate e dal mio umore».
Le principali virtù di uno scrittore? E le debolezze ricorrenti dalle quali difendersi?
«Ogni autore vive la scrittura a modo suo, a seconda della propria personalità e dal modo di vivere la propria vita. Per quanto mi riguarda, è fondamentale il contatto con le persone: l’ispirazione mi arriva sempre guardandomi intorno, conoscendo e approfondendo le vite di chi mi circonda o di chi ho il piacere di conoscere anche solo facendo due chiacchiere al bar. Ci vuole sicuramente passione, determinazione, costanza e molta pazienza. Ma ripeto, questo è come vivo io la scrittura, è il mio punto di vista ed è un parere del tutto soggettivo. Per me scrivere è affrontare le debolezze. Bisogna imparare a difendersi dalle critiche; certo, è normale scrivere pensando a quello che la gente penserà di te, ma è fondamentale dare il giusto peso. Io ascolto tutti i feedback che mi vengono dati, cercando di fare tesoro anche delle critiche, ma solo se costruttive».
Chiudiamo col basket: qual è il tuo pensiero sulla GIBA e quanto è importante – nei momenti difficilissimi come questo dovuto alla pandemia da Covid-19 – avere una rappresentanza unita e forte?
«Credo che la GIBA, in quanto associazione che tutela i diritti dei giocatrici e giocatori, sia di fondamentale importanza. Grazie alla GIBA sono innumerevoli le iniziative su molteplici fronti che aiutano uomini e donne che hanno sempre praticato sport a livello professionistico e dilettantistico. Inoltre, da giocatrice che vive e gioca in un mondo in cui sono ancora troppe le differenze tra uomini e donne, è rassicurante appoggiarsi a chi sta facendo di tutto per darci il giusto rispetto che meritiamo».