Il coach della Virtus Alessandro Ramagli è stato intervistato da Luca Muleo su Stadio.
Ecco le sue parole:

Quando guarda le foto nella "Porelli", una lo emoziona più di tutti. Spieghiamo? Sì, sono stato l'ultimo allenatore di Richardson.

Il leggendario Sugar. Giocatore e personaggio irraggiungibile. Negli anni ci siamo incontrati in più occasioni, ogni volta una gag.

Una su tutte? Summer League, stava seduto in alto, non l'avevo visto. Sento arrivarmi monetine addosso, una, due, tre, mi giro, lui stava con tutte le stelle NBA, grandissimi come Dennis Johnson. Fu affettuosissimo.

Lavorarci? Aveva 45 anni, era molto oltre il canto del cigno. Però rimanevano intatte le caratteristiche della persona e del giocatore. Ricordo a Ragusa, noi in grande difficoltà, lui tira da tre e non prende nemmeno il ferro. Il pubblico lo becca, Michael si gira verso la panchina e fece segno "a me"? Nei possessi successivi mise tre triple in fila, l'ultima da centrocampo.

E sul piano umano? Immarcabile. Capace di entrare in un negozio di borse per fare un regalo alla moglie e spendere 5 milioni.

Di Virtus parlava? Certo, è stata la sua resurrezione.

Quell'annata per lei invece fu la prima da capo. Ero ancora un ragazzo di bottega.

Cosa le manca di quei tempi? L'incoscienza. Di quella volta, e anche della prima a Biella. Da giovane è un bel requisito, ti butti, prendi e vai.

Con i piemontesi salvezza all'ultima giornata al PalaDozza, ballando sotto la curva Calori assieme ai tifosi biellesi. Vincemmo due gare in modo autorevole con Cantù e Milano. All'ultima Reggio perse a Livorno, eravamo salvi, una serata indimenticabile.

Le è capitato spesso di ballare sotto la curva? Spesso. Sono molto passionale, non ho paura di farmi coinvolgere, i momenti belli vanno vissuti. Si è tristi nei momenti tristi, in quelli belli si gode.

E quest'anno si torna al PalaDozza. E speriamo di godere. Derby a parte, è uno dei palazzi più fascinosi d'Italia, come quelle signore di una certa età che sanno sempre mettere trucco e vestiti nel modo giusto e sono ancora belle.

La Unipol Arena invece è da conquistare. Ho visto la Fortitudo in semifinale di Supercoppa. Ti dà la sensazione di essere un bel contenitore, una bella location, che meriterebbe di essere riempita il più possibile. Per il resto ha tutto: struttura, quel campo bianco e quel riflesso che ti mettono al centro, ti dà il piacere di giocarci. Speriamo di essere bravi a riempirlo, intanto di emozione e poi numericamente.

Sarà una delle chiavi principali. Sono d'accordo. Gli obiettivi sportivi li abbiamo illustrati, e non è mettere le mani avanti. Ma la prima, vera missione è creare quel filo rosso che connetta squadra e società ai tifosi. Se avremo centrato questo obiettivo, la stagione sarà stata positiva.

A cosa si può credere, di quanto visto in precampionato? A niente di quello che c'è sul tabellone. Quello che la squadra ha fatto vedere invece rimane. Abbiamo lavorato bene e tanto, senza inciampi sfortunati, e questo non succede spesso. Grazie a Voltolini e allo staff medico, nulla è successo per caso, fisicamente la squadra è pronta. Sul piano tecnico ho avuto risposte non scontate, siamo nuovi e potevamo fare più casino, invece quasi mai siamo stati pasticcioni.

Qualcuno dice corti. No, giusti per gli obiettivi. Cioè, intanto, valutare la consistenza dei nostri ragazzi. Avessimo voluto distruggere tutti, avremmo dovuto costruire un'altra squadra. Ma allora avremmo raccontato bugie. E' inutile parlare di giovani se poi gli metti davanti otto senior.

Ha detto che ci sono i più e i meno pronti. No, ho detto che, come normale con i giovani, un giorno è pronto uno, un giorno è pronto l'altro. Noi abbiamo ragazzi classe '98 e '99, saranno under per un bel po' di tempo, è lunga.

Piazza esigente, come digerirà le sconfitte? Quando dici quali sono gli obiettivi, e coi fatti dimostri di inseguirli, è bene ci siano persone pronte a spingerti. Se fai 7-2 è facile star vicini, importante è che lo siano dopo 2 sconfitte consecutive. Noi speriamo di vincere molto.

Torniamo a Livorno. Ancora rossa? Mica tanto. E' stata sempre monocolore, poi improvvisamente una scelta diversa, di protesta. Dà l'idea del carattere dei livornesi: ti danno credito, ma non per sempre. Si è riconosciuto il valore dell'alternanza. E' come in campo, se uno sa di giocare sempre 35', finisce che si siede e fa due partite male.

Anche a lei piace l'alternanza? Chiariamo, sono livornese, cresciuto in quell'humus politico e me lo sento addosso. Ma non cieco di fronte a certe storture. Sento dire che gli ideali sono morti, invece credo sia importante averne uno dentro se stessi. E io ce l'ho.

E lo porta in palestra? Assolutamente sì. Non puoi essere diverso dalla persona che sei, nella vita professionale. Se hai i valori dell'uguaglianza, non è che fai basket e diventi disonesto. Si è uomini a 360 gradi, lo sport ne è una parte, una bella fetta. A volte questa coerenza è stata scomoda, anche.

Per esempio? Io sono uno molto disponibile, però poi se finisce, finisce per sempre. Certi estremismi non mi piacciono, da questo punto di vista sono poco livornese, se ti devo mandare a quel paese lo faccio, ma prima ci penso su.

Oltre al basket? La famiglia. Sembra scontato, non lo è quando per vent'anni li vedi una volta alla settimana. Mia moglie, i due figli, e i genitori. Poi qualche hobby. La lettura, lo sport stesso, a partire dal calcio. Al Dall'Ara andrò prima possibile.

Tifo? Tiepido milanista, e livornese non tanto tiepido. Guardo la Champions, City-United ma anche Crotone-Atalanta. E il posticipo alla radio, sempre.

Riferimenti? Sembra fatto apposta, ma è vero: stimo Donadoni. Al di là di essere stato un grande del Milan, e allenatore del Livorno, dove pure non è stato amatissimo, perché piacciono quelli che "fanno l'ottovolante". Invece la squadra giocava bene, lui mi sembra uno di grande spessore, mai sopra le righe. Una persona alla quale è giusto ispirarsi.

Una cosa che non rifarebbe in carriera? Non vivo di rimpianti. E se ricordo, lo faccio in modo goliardico.

Prego. Al mio americano dello scorso anno, newyorchese molto vero (Darryl Bryant, ndr), chiedo di procurami quei quadroni di carta adesiva per pulire la suola delle scarpe. Lui mi fa: coach te lo faccio arrivare io, costa poco. Risposi, no guarda che non costa poco. Dopo qualche giorno si presentò con uno zerbino arrivato dagli Stati Uniti. L'ho conservato.

Qui per scrivere una pagina di storia? Spero di fare bene il mio lavoro. Non faccio lo storico, ma l'allenatore, con ambizione. Devi pensare a quello che puoi fare, non a quello che puoi lasciare, perché rischi di distrarti. Penso di aver lasciato qualche vittoria, i rapporti, o la crescita dei giocatori in ogni posto dove sono stato.

Se gli altri bloccheranno Umeh e Lawson? Dovremo girare un'altra pagina del libro. Qualche anticorpo l'abbiamo già mostrato, non ci sono stati solo loro in queste partite.

Sente l'emozione del debutto? Alleno dal '96, l'emozione ci sarà ma la gestirò come sempre. Il grado emozionale della squadra invece lo scopriremo alle 18 di domenica.

Alle 20 guarderete i risultati della Fortitudo per prima? Mica mi voglio ammalà per la Fortitudo. L'unico risultato che mi interessa sarà scritto sul tabellone dove sto giocando.

PER MANCINELLI LIEVE STIRAMENTO, A CHIETI DOVREBBE ESSERCI
PESARO - FORTITUDO SUPERCOPPA 2001, PAGELLE E STATISTICHE