Marco Calamai: i disabili, il nuovo libro e l’AIA
Marco Calamai il 28 Settembre p.v. sarà a Legnago a presentare la nuova edizione di “Uno sguardo verso l’alto“, aggiornamento della prima edizione di oltre 15 anni fa nel quale racconta come e perché è nato il “Metodo Calamai” nella gestione sportiva dei disabili mentali.
In questa intervista racconta le motivazioni, i risultati ottenuti in questa sua instancabile missione di inclusione sportiva e riflette sul successo del metodo, adottato in numerosi centri italiani.
Calamai condivide infine, anche la toccante storia di Davide, un giovane arbitro con disabilità, che diventa lo spunto per parlare di formazione e autonomia dell’AIA nel calcio. Ecco le 3 parti dell’intervista:
Il mio mondo è diventato il mondo della disabilità mentale. Mi sento tuttora un allenatore, un allenatore speciale, perché alleno ragazzi speciali con tante caratteristiche particolari, ma che sono uniche e ti arricchiscono.
Dopo 15 anni dalla prima edizione del libro con Franco Angeli, con fatica ma anche con voglia, ho pensato che andasse completato il lavoro che avevo fatto. Le richieste erano tante, il libro era esaurito, e le mie conoscenze in questi anni si erano approfondite, grazie anche a tante nuove esperienze maturate. Mi ha onorato della presentazione il presidente del CIP Luca Pancalli, con cui abbiamo un rapporto straordinario. Zuppi ha arricchito tutto con una riflessione che mi dà grande orgoglio.
Il libro verrà presentato il 28 settembre a Legnago, un’occasione che vede coinvolte famiglie di ragazzi con autismo. “Volevo che tutte le persone vicine al mondo della diversità potessero avere uno strumento e anche una speranza“
La seconda edizione del libro non nasce solo dalla necessità di aggiornare il lavoro fatto, ma anche dai risultati concreti che il “Metodo Calamai” ha ottenuto in questi anni. “Ormai ci sono 30-35 centri in Italia che si ispirano al mio metodo”, spiega il coach. Il suo approccio utilizza la palla a spicchi per creare legami fiduciari e comunicativi tra persone con e senza disabilità, dimostrando che l’inclusione è una risorsa per tutti.
“Ognuno di noi vuole stare con qualcuno più bravo, con un amico simpatico, con qualcuno che ti guidi”, racconta Calamai, evidenziando come la mescolanza tra normodotati e ragazzi con disabilità arricchisca tutti. “Ho sempre lavorato nel mettere insieme disabilità diverse: psicotici, autistici, ragazzi down, ragazzi cerebrolesi con normodotati. Ognuno arricchisce l’altro, e anche i normodotati di 15-16 anni ricevono un beneficio enorme dall’essere guida per ragazzi più in difficoltà”. Questo scambio reciproco, sottolinea l’allenatore, non solo rafforza le competenze sociali e relazionali, ma dona un senso di importanza ai giovani normodotati che, in un’età delicata come l’adolescenza, trovano nell’aiutare gli altri un modo per crescere.
Calamai riflette anche sul sistema italiano: “L’Italia, come sempre, ha tanti problemi, ma sul campo dell’integrazione, dell’inclusione scolastica e sportiva siamo anni luce avanti agli altri. Non c’è un Paese in Europa che sia vicino a noi, se non la Spagna”.
Oltre al basket, il cammino di Marco Calamai lo ha portato a condividere la sua filosofia inclusiva anche nel mondo del calcio, come docente a uno dei corsi formativi per i presidenti di sezione dell’AIA, previsti dal programma della gestione Trentalange . Una storia particolarmente significativa è quella di Davide, un giovane con difficoltà cognitive che è riuscito a diventare arbitro. “La storia di Davide è una storia di dolore e di gioia insieme”, racconta Calamai. “Non sapevo che si fosse iscritto all’AIA di Bologna e arbitrava le partite giovanili senza parlarne. La mamma mi ha detto: ‘Ci avete regalato la vita, ci avete reso la vita’. Davide è un giovane uomo oggi inserito, e credo che sia uno dei grandi successi del settore arbitrale aver saputo accogliere un ragazzo del genere”.
Formazione al centro, come conferma Calamai che spiega come “questi corsi hanno migliorato la gestione di istruttori e presidenti provinciali dell’AIA, e ho avuto un bellissimo riscontro”. Calamai auspica che questi programmi possano proseguire, sottolineando la necessità di un’AIA autonoma. “L’AIA oggi è matura per l’indipendenza e autonomia all’interno della Federazione Calcio, ma con indipendenza economica, amministrativa, di marketing e comunicazione assoluta. Però, essere libero significa essere ancora più preparato, fisicamente, tecnicamente e psicologicamente“.
Per il coach, l’autonomia dell’AIA non è solo una questione organizzativa, ma un’opportunità per far crescere una nuova generazione di professionisti. I giovani tra i 20 e i 30 anni, che non possono più fare gli arbitri attivi, dovrebbero avere la possibilità di seguire corsi di formazione in marketing, comunicazione e amministrazione per inserirsi in una struttura che possa camminare sulle proprie gambe. “Il cambiamento è un gioco di squadra“, conclude Calamai.
Con la sua consueta schiettezza, Marco Calamai riflette sulla sua visione di allenatore: “Non mi sono mai sentito un benefattore, ma un allenatore che fa delle cose ed è ripagato. Io sono ripagato umanamente a dei livelli straordinari“. Una filosofia che racchiude il senso profondo della sua carriera, in cui il basket diventa non solo uno sport, ma uno strumento per abbattere barriere e creare nuove opportunità di crescita per tutti.
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