Quinta puntata del format di A Better Basketball che incontrerà i personaggi più importanti della pallacanestro internazionale. Dopo le prime quattro interessanti puntate, ospite: Aleksandar "Sasha" Djordjevic.

Questi alcuni temi trattati da un mito del basket europeo nell’incontro di venerdì al quale anche gli appassionati hanno potuto partecipare con le loro domande live e i loro commenti.

Il momento che sta vivendo il Paese e la ripresa della pallacanestro. “Stiamo bene, io e la mia famiglia, ma non mi sento bene: sono molto dispiaciuto e amareggiato per le persone che ci lasciano e si ammalano di cui si parla spesso solo come numeri. In tutto questo giustamente il basket va in secondo piano, è la nostra passione e il nostro lavoro 24/7, siamo molto dispiaciuti perché, come Virtus, stavamo andando bene ed eravamo pronti a giocarci l’EuroCup e i playoff ed ero molto contento di come i giocatori avessero capito e accettato la gran mole di lavoro a cui li avevamo sottoposti prima di uno stop comunque giusto. Io e il mio staff cerchiamo di tenerci freschi di mente e facciamo tante cose, anche ascoltare gli altri per migliorare che fa sempre bene. La prima cosa di cui mi dovrò preoccupare alla ripresa sarà proteggere i giocatori dagli infortuni dopo un periodo di cosiddetto de-training: nella NFL, dopo il lockout, gli infortuni sono aumentati tantissimo. Alla Virtus abbiamo un capitale da salvaguardare perché sono i grandi campioni che fanno grandi anche le società”.

La Virtus in testa prima dello stop e la favorita per lo scudetto. Non siamo così presuntuosi da pensare a chi avrebbe potuto dare più fastidio alla Virtus prima in classifica nei playoff, siamo noi che comunque avremmo dovuto andare a strappare alle altre i titoli che avevano conquistato nelle ultime stagioni. Venezia, la squadra più vincente degli ultimi anni, ha fatto altri passi da gigante, Milano è l’eterna favorita per le possibilità che ha ma io credo che tutte le prime otto quest’anno hanno confermato quella che è una caratteristica storica del campionato italiano, e cioè che tutte possono battere chiunque”.

Sulla scelta di puntare su due registi come Teodosic-Markovic. “Da CT. della Serbia ho imparato che non sempre i migliori 12 giocatori messi assieme formano la squadra migliore se non si incastrano al meglio. Con Teodosic e Markovic abbiamo due giocatori che ne formano uno solo tanto sono compatibili e si completano tecnicamente e come personalità. Hanno caratteri scherzosi, forti, orgogliosi, sono il vero prodotto del basket serbo. Teodosic è un campione vero, uno che non fa due allenamenti uguali, meno quando non ha voglia di allenarsi…, nel senso di quello che ti fa vedere e insegna anche ai compagni e allo staff quotidianamente. Markovic in campo è una belva, ha una competitività feroce, tutti e due hanno la capacità non solo di essere formidabili in campo ma anche di aiutare la loro squadra a crescere”.

I suoi modelli. Sono cresciuto cercando di imparare da due grandi campioni della nazionale jugoslava, Dragan Kicanovic e Moka Slavnic: amavo anche Mirza Delibasic ma era più difficile immedesimarsi per me perché era diverso, era un play alto due metri. Poi a inizio degli anni ottanta, a Belgrado è arrivata la prima cassetta VHS di una partita NBA, una finale Boston-Lakers: ha fatto il giro della città, c’era solo quella… Più tardi però sono riuscito a trovare anche una cassetta dei Pistons e mi sono innamorato di Isiah Thomas, uno capace di fare tutto quello che serviva per vincere, segnare tantissimo o giocare per la squadra, sempre con charme e il sorriso in volto anche quando guidava una squadra spietata come i Bad Boys. Sono stati i miei tre modelli”.

Come si insegna ai giovani giocatori a crescere. “Dobbiamo capire in che mondo viviamo. Tracciare una linea dove, al di sopra, mettiamo gli over 35 e sotto gli under 35. Siamo noi Over che viviamo nel mondo degli under o viceversa? Io credo che siamo noi Over che dobbiamo imparare come interagire e adeguarci al modo di comunicare dei giovani, capire i loro linguaggi, in che maniera influenzarli di più e da chi a loro volta sono influenzati, certamente genitori e insegnanti ma anche i loro coetanei. Quello che fa ancora poco la pallacanestro è lavorare coi genitori e non limitarsi solo al lavoro sul campo ma aprirci anche a ciò che circonda i più giovani. Dobbiamo capire com’è il loro mondo”.



 

(foto Virtus Pallacanestro)

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