LA EX BASKET CITY AL MARE
Aveva stappato una bottiglia di quello buono, tenuto in stand by da sette anni e pronto all’occasione. Era andato vicino al cavatappi dodici mesi fa, ma ora era bello, felice e contento per quanto stava capitando. Vendetta, tremenda vendetta, e si sarebbe divertito comunque: ci avete rotto i maroni per anni con la storia di Castelmaggiore, pensava, e adesso voglio vedervi, a far la Fortibudrio o altrimenti andare su campetti dove potrei giocare anche io, in C2. E poi, avete tanto blaterato, ai tempi di Madrigali, con il da noi non sarebbe mai potuto accadere, e ora siete ostaggio di Sacrati. Che è talmente geniale dal voler restare ancora in sella: hai visto mai, pensava, che la prossima estate chieda di essere iscritto al campionato di pallamano, o a quello di bridge, perché nemmeno la Prima Divisione gli è permessa.
Parlava da solo. Gli si era avvicinato il bagnino romagnolo, a voler disquisire di faccende di Legadue, di una squadra che aveva perso il diritto sul campo alla promozione per la millesima volta di fila, ma che aveva capito come, nel basket attuale, basta avere i conti a posto per fare carriera. Così come aveva capito un altro tizio, proveniente da Imola, che negli anni precedenti non si era fasciato la testa per le retrocessioni della sua squadra. Però la dialettica, forse anche per via di un accento che lui non comprendeva (tutte queste “e” chiuse per dire albérgo, robérto, ma hanno paura che gli entrino le mosche in bocca?), non partiva. Era comparso come vicino di ombrellone uno strano soggetto, con un berrettino arancionero, a dirgli ora sono io l’altra metà di Basket City, ti devi confrontare con me, ma la cosa non prendeva piede. Un po’ perché era stato spiegato che Virtus e Gira erano diventate amiche, un po’ perché le sfide tra Virtus e Gira gliele raccontavano i suoi avi, ed erano tanto sbiadite quelle foto da non sembrare nemmeno pallacanestro, davanti ai suoi occhi in technicolor che si erano aperti al basket quando già c’era il Paladozza (senza mutuo) e quando l’avversaria era la Fortitudo. E niente altro.
Leggeva i giornali. E si accorgeva che la sua attenzione era sì rivolta a quello che capitava nella sua squadra, con questo Homan – o Haman, o Heman, dato che ogni volta lo riportavano in modo diverso: non è che mi portano qua, pensava, quel Hedman che faceva il portiere nell’Ancona calcio, famoso perché la moglie era una velina svedese con pochi, pochissimi veli? – che aveva firmato ma non ancora, e con Poeta che diventava come ogni anno una piccola telenovela. Ma ci restava poco, sulle righe dedicate alla sua squadra. Era più divertente vedere la faccia con gli occhi cerchiati di Sacrati, dell’uomo che gli aveva fatto fuori la Fortitudo e aveva poi fatto scempio del cadavere: quasi mosso a compassione, avrebbe voluto dirgli basta, dai, è troppo anche per me, dato che va bene essere nemici, ma qui si trascendeva la follia distruttiva. Sembrava più interessato ad altre cose, non di basket giocato, anche perché questa volta, in Virtus, l’estate stava passando in modo quasi normale. Niente rivieresolari, niente sparate clamorose, ma solo una normale, normalissima campagna acquisti: qualche rinuncia discutibile, qualche arrivo succoso, ma niente che fosse davvero da prima pagina. E guardava allora di là.
Se sparisce il nemico non è che sparirò pure io, pensava, ricordando come la mancanza del derby avesse, per esempio, distrutto il basket di Livorno. Continuava a bere dalla sua bottiglia, il beato gusto della vendetta, ma gli rimaneva un retrogusto di solitudine: e in fondo, sperava che almeno una B2 credibile alla Fortitudo gliela dessero. Perché poi con chi battibecco, in ufficio?
(PS – Lo scrivente ringrazia chi si è complimentato per l’arrivo dell’erede. Promette che farà di tutto per farla diventare una cestofila. La squadra se la sceglierà lei, con la speranza che possa avere di che scegliere)