Forse tutto è nato con la non conferma di Luca Dalmonte, che un anno fa aveva portato la squadra dove gli era stato chiesto, con umiltà e concretezza, ma che non aveva l'appeal per proseguire, davanti a chi prima e dopo ha sempre preferito il glamour astratto al lavoro da formichina. E che aveva chiesto la non conferma di italiani titolari inamovibili, toccando quindi fili che non andavano toccati. Poi, tutto l'elenco di errori, a partire dall'arrivo del santino sbiadito di Jasmin Repesa (strappato a Pesaro, non al CSKA) preso appunto per il titolone e, chissà, forse per mettere la polvere sotto il tappeto. Questo il prologo della disastrosa stagione della Fortitudo, chiusasi con una mesta retrocessione davanti ad un Paladozza silente, nemmeno tanto critico verso i colpevoli - sul campo - di tale disfatta. Nessun paragone con gli altissimi ululanti decibel del 1990 contro Forlì o del 2009 a Teramo: qui non c'è stata nessuna recriminazione se non il rendersi conto di una cosa semplicissima, come detto da tanti domenica sugli spalti: "Siamo tristi". Gioco, partita, incontro.

Già perplessi da una fine estate alquanto anomala, gli osservatori osservavano una squadra in ritardo, con il punto interrogativo della condizione fisica di Fantinelli (evidentemente a Repesa era stato detto, o Repesa aveva capito, qualcosa di non vero) e locali bolognesi a raccogliere le lamentele di Jasko, tali da farci chiedere non tanto se avrebbe lasciato il posto, ma piuttosto quando. Poi, la scelta di Martino dopo il rocambolesco addio del coach dell'antico scudetto: a posteriori sbagliata, tutto qua. Attorno, l'imbarazzante andirivieni di giocatori brocchi, o semplicemente non adatti al sistema o agli inamovibili già presenti, con la girandola su Groselle (già annunciato da una squadra tedesca e poi reinserito) a fare da ciliegina su una torta tecnica che ha visto la Fortitudo chiudere senza un lungo affidabile e con atroci buchi in regia. Visto i tremila giocatori mandati a referto, è come andare a fare la spesa, portare a casa di tutto e dimenticare l'unica cosa che avevi messo nella lista. E magari arrivare alla cassa e accorgerti che, comunque, tutto il carrello ti ha mandato il bancomat in sofferenza.

"Naturale epilogo di una gestione da mal di testa, salvarsi sarebbe stato un rimescolare nella merda, e con questi uomini non ci può essere nessun futuro", hanno detto ieri a Fossa on the Radio: destinatari Pavani e Muratori, con il primo già da un po' assente al Paladozza dopo qualche critica. Ed è anche questa una cosa che si addebita alla società, ovvero la permalosità proporzionale all'autoindulgenza: dopo un anno di errori, di valzer su qualsiasi cosa (ricordiamo la questione del logo, prima cambiato perchè ne vogliamo uno fortitudino e poi tornato quello canonico?), di debiti spalmati eccetera, forse sarebbe servita una comunicazione meno assolutoria. Per non parlare di altre cose, come il segreto di Pulcinella dell'ingresso, più o meno ufficioso, di parenti acquisiti del senese - radiato - Minucci: quale sarebbe dovuto essere il ruolo di Pierluigi Zagni e dell'ingombrante genero era tutto da valutare, ora lo sarà ancora di più. Ma questo è nulla, davanti al capire cosa sarà della Fortitudo che verrà: ma se la gente arriva a pensare che sia meglio essere retrocessi che andare avanti in questo mondo, è palese che il pollice verso verso le attuali scrivanie sia totale. D'altronde, se si poteva prima fare spallucce davanti alle crepe comunicative e non solo (Metano Nord, ricordiamo?) davanti ad un campo che dava risultati, o che comunque non arrivava a disastri, ora anche questa foglia di fico, purtroppo, è stata strappata via. Così come l'illusione di poter essere, per un po', una realtà normale.

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