VIRTUS, IL PUNTO DOPO LA RETROCESSIONE
A suo modo, un capolavoro. Riuscire a scendere in A2 con una sola retrocessione, oltretutto pagando sempre puntualmente i giocatori (cosa non sempre frequente nelle squadre di bassa classifica) e spendendo più dell’anno scorso - quando si arrivò ottavi - è qualcosa che ha dell’incredibile. Ma è successo. Il 4 maggio 2016 verrà ricordato dai tifosi Virtus alla pari del 31 agosto 2003. Ma se lì furono altri (il Consiglio Federale) a estromettere la Virtus, qui i bianconeri hanno fatto tutto da soli, retrocedendo per la prima volta in 87 anni di storia, cosa mai accaduta sul campo.
Dopo una scoppola del genere è ovvio e normale andare a caccia di responsabilità, che a nostro parere sono parecchio sparse. Si inizia per forza dalla proprietà, da una Fondazione (in fondo all’articolo i nomi dei 32 soci odierni, tratti da virtus.it) che ha mostrato tutti i suoi limiti. Una struttura in cui si entra con una quota una tantum e poi non si è più tenuti a mettere niente se non volontariamente può servire a tappare le falle e sanare problemi momentanei - cosa che è stata fatta, vista la situazione in cui la Fondazione aveva ereditato la Virtus dalla precedente gestione - ma a lungo termine non può funzionare per gestire una società di basket professionistico, e purtroppo si è visto. Alla fine in pochi hanno messo i soldi necessari, mentre tanti altri (tra cui imprenditori e aziende di livello nazionale e internazionale) si facevano di nebbia.
Si continua con la società: il programma di riduzione spese (voluto dalla proprietà) in questi anni ha portato a scelte dolorose e assolutamente non gradite ai tifosi (via Gigi Terrieri, via Marco Sanguettoli, Giordano Consolini depotenziato), poi c’è stato il balletto della presidenza (Renato Villalta dimissionario o dimissionato, poi il nulla dell'era Bertolini, infine l’arrivo tardivo di Alberto Bucci che invece il suo l’ha fatto eccome). Per buona parte della stagione la società è stata composta di fatto dai soli Sandro Crovetti e Giorgio Valli, ed è mancata un’altra figura tecnica con cui confrontarsi, cosa ammessa da Valli stesso. Sono stati fatti errori sia nella costruzione della squadra, sia nella gestione in corso d’opera. Su tutti la gestione dell’infortunio di Allan Ray, che ha condizionato tutta la stagione.
Infine, squadra e staff tecnico. Giorgio Valli ha costruito la squadra, l’ha modificata in corso d’opera e l'ha gestita partita dopo partita. Il suo pedigree bianconero e il fatto che ci tenesse davvero non sono in discussione - come dimostrano le lacrime sincere di ieri sera - ma un coach che in un anno vince 1 trasferta su 15 non è difendibile, e il troppo nervosismo mostrato più volte in partita con conseguenti gestioni problematiche alimenta il dubbio su cosa sarebbe stato in caso di avvicendamento. La scelta della continuità ha portato ad una retrocessione – alla quota record di 22 punti, ma pur sempre una retrocessione, con modalità simili a Ferrara 2010 – e viene da chiedersi cosa sarebbe avvenuto con altri tecnici (Frates? Dalmonte? La promozione di Cavicchi?).
E poi i giocatori: alcuni sopravvalutati, alcuni nel posto sbagliato al momento sbagliato, altri semplicemente scarsi. In generale, in assenza di Ray è mancata enormemente la figura di un leader, quello che solo alla fine - e purtroppo tardivamente - è stato Collins. E puntare tutto su Pittman non ha decisamente pagato, perchè si è fatta la squadra attorno a un lungo di sicuro talento, ma con 25' di autonomia e senza un ricambio all'altezza, pagando questa scelta (anch'essa da attribuire a Valli) con povertà di talento e capacità di creare tra gli esterni, che sono quelli che solitamente risolvono le partite negli ultimi quarti.
Chi si salva? Onestamente, solo i tifosi. Nonostante tutto sono ancora tanti, che hanno riempito il palazzo praticamente tutto l’anno (anche grazie a ingressi di favore - certo - ma non mai è facile portare la gente a vedere certi spettacoli) e che, per quel che riguarda i gruppi organizzati, sono sempre rimasti vicini alla squadra, andando anche in trasferta e provando più volte a scuotere l’ambiente. Non è servito, ma loro non hanno nulla da rimproverarsi.
Adesso, per restare in serie A, bisognerà sperare nel ripescaggio e quindi nelle disgrazie altrui, e in particolare di Caserta, che secondo vox populi sarebbe quella più a rischio. Per avere certezze però bisognerà aspettare il 30 giugno (termine per le iscrizioni in serie A) e poi il Consiglio Federale di metà luglio che si esprimerà dopo le indicazioni della Comtec. Due mesi, quindi, e onestamente senza grosse speranze, dato che di squadre date per morte a maggio e poi regolarmente ammesse a luglio negli anni scorsi ne abbiamo già viste parecchie. In ogni caso, la retrocessione avrà conseguenze devastanti, sia dal punto di vista sportivo che economico. La Virtus non incasserà il premio italiani - circa 85mila euro - vedrà sciolti tutti i contratti professionistici in essere (e su qualcuno, Simone Fontecchio su tutti, potrebbero esserci grossi rimpianti in futuro) e soprattutto si troverà invischiata in un campionato a 32 squadre con una sola promozione, dal quale potrebbero volerci anni per risalire, anche spendendo molto, cosa che non è affatto scontata.
Sul futuro - infatti - si attende la conferenza di domani di Basciano e Bucci per capire cosa succederà. Mercoledì 11 dovrebbe esserci invece l'assemblea dei soci. Una prima voce (Tacopina) è già uscita, ma qui servono certezze. E la prima cosa da fare è quella di superare il modello Fondazione. Se arriveranno nuovi soci a sottoscrivere l’aumento di capitale va bene, altrimenti si faccia con chi - degli attuali - ci vuole stare: in ogni caso la priorità è quella di rendere la Virtus una società di capitali “standard”, con quote possedute da chi intende partecipare attivamente (con onori e oneri) alla gestione societaria.
E poi, ma solo poi, servirà una rifondazione totale dal punto di vista tecnico. Prima servono certezze societarie.
(la foto di Pietro Basciano al termine della partita di ieri è di Francesca Soli)