L'ex Fortitudo Franz Arrigoni è stato sentito dal Carlino. Un estratto dell'intervista.

"Sono stato in Fortitudo dal 1972 al 1980. Sono arrivato che avevo 24 anni. Sono sempre stato vecchio... Ho cominciato a 17. Poi però ho tirato dritto. Ho smesso in Promozione quando di anni ne avevo 62. E forse avrei anche potuto continuare. Perché quell’anno sono stato, nella mia squadra, quello con il maggior numero di presenze. Non credo di aver saltato nemmeno una partita.
Beppe Lamberti è quello che mi volle. Eccezionale nella tattica, molto pratico e diretto. Aza Nikolic ci spiegava che non eravamo più dei dilettanti, ma professionisti. Attento ai particolari, quasi maniacale. Insegnava anche a mettere i tubolari perché poi, nei piedi, non avessimo vesciche. Ma aveva un cuore d’oro. Ci allenammo il giorno di Natale, al mattino, nel 1974. Finito l’allenamento, presi l’auto, per raggiungere Bergamo. C’era una nebbia paurosa: alle 13,30 chiamò casa mia. Voleva sapere se ero arrivato. Dido Guerrieri era un signore che ci lasciava tranquilli e sereni. Si fidava di noi. Albertone Bucci cominciò proprio con noi: ricordo come lavorava con gli juniores. Aveva varato una zona pressing straordinaria. Poi John McMillen, un fratello. Contava molto su noi anziani, per tirar su i giovani, come Ferro e Tardini.
Avevo un’apertura di 2,10. Quando le srotolavo potevo difendere su chiunque. Anche i pivot. Marcavo spesso lo straniero: mi sono trovato di fronte Bryant, il papà di Kobe. Ma anche Dalipagic: dovevi scegliere. O lo fermavi con un fallo, o lui faceva canestro. Oppure Bob Morse: con lui mi sentivo come la pallina di un flipper impazzito. Prima di arrivare a lui venivi sballottato da un blocco all’altro. Prima Zanatta e poi Bisson: il lavoro duro lo finiva Meneghin.
La Fortitudo? Picchio Orlandi era un’istituzione. Poi Paolo Viola, Giovanni Biondi, Primo Giauro, Massimo Casanova, Dodo Rusconi, Corrado Pellanera, mentre Stefano Michelini era il vice di McMillen. E Angelo Rovati. Tempo fa ho rivisto l’onorevole Giancarlo Tesini: il mio presidente, ma anche uno dei miei tifosi. Si è commosso quando mi ha visto. Mamma mia quanti ricordi. E poi gli stranieri: su tutti il Barone Schull. Ron De Vries era un allenatore in campo, poi Fessor Leonard, Marcellus Starks e Charles Jordan, che tiratore. Una volta facemmo una gara: lui, io e Biondi. Finta di passaggio e tiro. Un errore voleva dire essere eliminati. Arrivammo a 148/148. Poi sbagliai io. Dopo un’altra ventina fallì Jordan: vinse Biondi.
Il venerdì andavamo alla Grada. Poi c’erano il Cantunzein e il Pellegrino. A pranzo, c’era un’osteria in via del Pratello, dove si poteva mangiare al volo. Poi sperimentai le varie ‘Buche’ come quella di San Petronio. Non conoscevo bene Bologna, quando ho lasciato la città ero pasta-dipendente. Tortellini, certo, ma anche gli insaccati. E la mortadella. Che profumi.
I tifosi? Pochi anni fa mi chiesero l’autografo, mancava solo il mio. Sapete perché? Quando me li chiedevano dicevo no: aggiungendo ‘chiedilo a tuo padre, che lavora otto ore al giorno’. Non me la tiravo, avevo solo il massimo rispetto per chi lavorava veramente"


(foto Il Fortitudino)

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