Il lungo Fortitudo Henry Sims è stato sentito da Corriere di Bologna, Stadio e Gazzetta. Un estratto dell'intervista.

Sto bene, mi sento in forma, avevo comunque lavorato molto sul piano fisico senza mai fermarmi.
L'infortunio? E' la situazione più strana in cui mi sia mai ritrovato. Gesti di frustrazione se ne possono fare tanti, a volte mi è capitato di sbattere la palla a terra o di darmi un colpo sulla testa. Anche i sostegni dei canestri non sono tutti uguali. Mettiamola così, non è stata la cosa più furba che abbia fatto in vita mia.


Ho pensato che poteva costarmi il posto? No, anzi sulle prime credevo fosse una cosa da nulla. Quando mi hanno parlato di un mese, un mese e mezzo, non sapevo cosa dire, come reagire. Sapevo che la Fortitudo mi avrebbe aspettato, in questo ero tranquillo, ma anche molto dispiaciuto per aver creato un problema, non poter essere utile. per questo voglio ringraziare tutti, società, staff medico e anche i tifosi. E' stato un gesto stupido, non era scontato che fossero tutti così comprensivi. Complimenti a Stephens, è stato molto bravo a sostituirmi.

Martino? Con me ha fatto un gran lavoro: non potevo giocare ma voleva che fossi coinvolto lo stesso. E lo fa anche con gli altri, lui c'è sempre. Mi piacciono i coach che scendono nei dettagli, lo vedi che è uno che studia sempre.

La grande forza di questa squadra è l'esperienza dei suoi tanti giocatori. Il problema dei rimbalzi? Anche da fuori, quando ero infortunato, lo vedevo. Però so che lo risolveremo. Coach Martino sta facendo un gran lavoro, con una cura enorme dei dettagli. E' raro trovare un allenatore che stimoli i suoi giocatori anche mentre stanno facendo pesi.

La città? Mi piace tutto. Una volta ho incontrato in un negozio Ricci, mio compagno a Cremona, e scherzando ci siamo promessi di tutto per il derby. Io sono un trash talker, ma solo con gli amici.

Fare il giocatore di pallacanestro non era la mia principale aspirazione. Fu mia madre Brenda a portarmi nella squadra della First Baptist Church a Baltimora quando avevo 13 anni. Avevo provato con il football americano, ma non mi piaceva: troppi pugni, si finiva per piangere. E io ero troppo magro. Provai con il basket, e da quel momento non mi sono più voltato indietro. Dopo l'ultimo anno al College a Georgetown attraversai un momento difficile. Se non avessi seguito la carriera cestistica, avrei fatto lo scrittore. Mia madre Brenda mi ha fatto crescere in chiesa. Il rapporto con Dio per me è fondamentale: prego la mattina, in tanti momenti della giornata, prima di giocare. Nella mia vita Dio e la famiglia sono i valori più importanti.

(Foto Valentino Orsini - Fortitudo Pallacanestro 103)

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