BASKET CITY AL MARE, 15/9/2017
Un sedicente giornalaio che aveva sedimentato dalle sue parti per un po’ di tempo gli aveva lasciato una musicassetta (una musicassetta! Waimer aveva cercato di capire come infilarla nell’iphone, poi papà Jader gli spiegò come ascoltarla estraendo una vecchia radio stereo dallo sgabuzzino) con brani da ascoltare in caso di fine stagione. C’erano robe non fondamentali come L’ultima goccia d’estate di Paola & Chiara. Robe più sostanziose come The last day of summer dei Cure e, imprescindibile, quella L’estate sta finendo di Righeiriana memoria per cui il giornalaio gli aveva registrato almeno una decina di versioni diverse. Insomma, anche quella estate era sul punto di salutare e lui, ormai desideroso di farsele lui, le vacanze, aveva anticipato di qualche giorno la chiusura togliendo dal sedere di qualche ritardataria tardona toscana gli ultimi lettini. Ed era pronto a ricordare le stranezze dei due tifosi.
Aveva salutato il tifoso virtussino. Che aveva vissuto una estate di euforia, pensando al ritorno in serie A e al Paladozza, che da quanto aveva capito lui bagnino era visto non solo come un ritorno a casa, ma anche come una definitiva emancipazione da un passato di alti e bassi. E che era già contento così, in attesa di capire cosa valesse quella squadra, nata pescando italiani di ottimo nome ma difficile collocazione in campo, e allenata da un coach che tutti amavano, ma su cui, forse, non tutti avrebbero messo la mano sul fuoco a riguardo della capacità di stare al volante di una macchina rinnovata e modificata. Oltretutto, questo tifoso non sembrava potersi accontentare dello status di neopromossa, perché la Virtus era la Virtus e non poteva, con tutto il rispetto, affrontare la massima serie come lo aveva fatto la Brescia di 12 mesi prima. E il mercato, ecco, non era stato quello di chi aveva in mente solo il vivacchiare. Eppure lo sapeva, che tra il dire e il fare c’è di mezzo e il, e quindi aspettava di capire quanto la realtà sarebbe stata differente dai suoi sogni. Chissà.
Aveva salutato il tifoso fortitudino. Che a volte si chiedeva come mai, tutti gli anni, qualcosa per cui grattarsi la testa lo si trovava sempre, al di là del per amore solo per amore per il quale, forse, Roberto Vecchioni prima o poi avrebbe chiesto i diritti d’autore. E gli americani, e Drucker, e Lestini, e i pois e tutto il resto: stavolta i dubbi erano su una squadra rinnovata ma invecchiata, sulla mancanza di un centro americano, e su questa figura di Boniciolli che, non essendo uno di quelli che va sempre in direzione non ostinata e non contraria, era condannato al dividere il popolo sul come giudicarlo. Lui sarebbe stato sempre presente, ed aspettava di valutare una squadra che, tra infortuni e altro, nel precampionato si era tenuta fin troppo nascosta. E sapendo poi che, al terzo anno di A2, sarebbe stato difficile non puntare esplicitamente alla promozione senza se e senza ma. Insomma: la fune era stata messa tra i due alberi, e ora c’era solo da stare in equilibrio, sapendo che l’ambiente spesso e volentieri era stato, e sarebbe stato, il primo motivo di spifferi e ventate pronte a far cadere tutto.
Waimer li aveva salutati entrambi, per poi mettere ombrelloni e lettini nei vari ripostigli e adagiarsi sulla sua Apecar pronto a trovare luoghi ove riposarsi, lui, finalmente. Sapendo che alla fine c’è tanta gente che non ama il mare e che non ne vuole sapere né di lui né di spiagge (“ma se i due tifosi andassero in montagna cosa farebbero, litigherebbero tra un fungo e una mucca?”, si diceva il bagnino). Ma anche chi, tutto sommato, è soddisfatto dai panorami marittimi. Questo gli bastava, sapendo che ogni anno, far passare l’inverno, era più dura.