KLAUDIO NDOJA: SONO UNA PEDINA, TORNERO' SENZA ROVINARE GLI EQUILIBRI. IL PRIMO POSTO NON E' UN CASO, CREDO POTREMO RESTARE TRA LE PRETENDENTI FINO ALLA FINE
Klaudio Ndoja, che giovedì tornerà in campo dopo un'assenza durata praticamente tre mesi, è stato intervistato da Luca Muleo su Stadio.
Ecco le sue parole:
Praticamente ho saltato quasi tutta l'andata, spero di rientrare e fare le mie cose, l'importante è stare bene.
In teoria, lei è un complemento perfetto di questa squadra. A dir la verità sono una pedina, anche senza di me gli altri hanno svolto un ottimo lavoro. I ragazzi hanno fatto bene, questo vuol dire maturazione, saper affrontare le difficoltà, se consideriamo che io sono uno del quintetto all'interno di una pallacanestro che il nostro allenatore fa girare sui "vecchietti", per poi avere freschezza panchina. Sono stati bravissimi, così quando entrerò io, non rovinerò gli equilibri e l'alchimia già esistenti.
Ha avuto paura di vivere una stagione maledetta? C'è solo il dispiacere di non poter giocare, prima di non trovare una soluzione. Paura per queste cose non ne ho.
Il suo rientro come cambierà la squadra? Io devo aggiungere qualcosa in più, non devo cambiare nulla e non sarebbe giusto di fronte ai risultati. Posso, grazie all'esperienza, gestire con lucidità e facendo la scelta giusta, i momenti decisivi.
Derby? Il derby è unico, sono partite in cui molto dipende dai momenti di forma e salute vissuti dalle squadre. Si azzera tutto. Io non l'ho mai giocato, sono felicissimo di esserci. Sarà un clima talmente alto a livello d'entusiasmo, che ogni discorso verrà meno. Prevarrà la voglia di vincere.
Prima li guardava i Virtus-Fortitudo? Chi non ha mai visto il derby? Fa bene a tutti, a noi, alla città, al movimento. Mi sento fortunato a poterlo giocare.
Il primo posto in classifica vi dà autostima. La pressione non c'è? La soffriamo poco perché intanto non ce la mettiamo addosso. Non abbiamo l'obbligo di vincere tutte le partite, c'è il progetto di far giocare i giovani e allo stesso tempo far bene. E' il nostro modo di pensare: ogni volta in campo puntiamo a vincere solo quella partita. E poi c'è l'incoscienza dei giovani, che la pressione non la sentono.
Come sono tornati dagli Europei? Li invidio, prima di partire gli ho detto che devono essere felici a indossare la maglia dell'Italia, di rappresentare il loro paese. Gli darà una carica in più, sì magari non saranno freschissimi, ma sono giovanissimi e non faticheranno.
Quando si potrà dire che la Virtus è da promozione? Cosa si può e cosa non si può dire, lo decide il campo. Il primo posto non è un caso, siamo lì tra le pretendenti, credo che ci potremo restare fino alla fine.
Il proposito per l'anno nuovo? Continuare a vincere come nel 2016.
Usciamo dal basket, la sua storia di emigrante è nota, cosa pensa del legame fra terrorismo e accoglienza? La strada è una sola, quella della legalità. A Milano vicino a dove abito io, in via Padova, la situazione è pesantissima da tanti anni. In certi quartieri si creano piccoli ghetti, e questo non porta nulla di buono. Io sono arrivato illegalmente, poi sono diventato italiano. L'unica possibilità di integrare è nella legalità. Bisogna distinguere tra chi viene qua per cercare un futuro migliore e chi, senza scappare da guerre o situazioni difficili, vuole solo vivacchiare. Questi devono essere rimandati indietro.
A Bologna che città ha trovato? Una città aperta, con tutti i problemi dei grandi centri. Bisogna partire dalle situazioni di disagio.
Ce la faremo? Bisogna farcela per forza. Altrimenti poi accadono le cose che vediamo in questi giorni.