Matteo Imbrò, ospite della diretta Instagram di Basket dalla Media condotta da Marco Barzizza, ha parlato anche del suo periodo bolognese tra Virtus e Eagles.

Un estratto delle sue parole.

Quando avevi 19 anni, al primo anno da capitano in A della Virtus, un grave infortunio ti fermò diversi mesi, interrompendo l’esplosione della tua carriera.
“Da quell’infortunio mi sono ripreso bene. Stando fuori 6 mesi ovviamente ho perso allenamenti, esperienza ecc, ma ho guadagnato in spirito, nel non mollare mai. Se non ti ammazza quello puoi solo diventare più forte. Èstato un salto mentale oltre che fisico, sono cresciuto come persona più che come giocatore. Da lì il mio approccio è cambiato, ho capito l’importanza delle piccole cose, un po’come adesso in cui siamo tutti fermi: il semplice fatto di allenarti e incontrare compagni, lo staff, il custode, la gente che ruota attorno alla squadra”.

È una bella responsabilità essere capitano?
“Quando ero alla Virtus ero un ragazzo un po’più istintivo, crescendo si matura e si vedono cose diverse. Il fatto di avermi scelto come capitano in giovane età credo sia dovuto all’aspetto caratteriale: sono uno tranquillo che può trasmettere serenità alla squadra. È molto bello che si condivida tutto, così come lo oggi è da capitano a Treviso. Non c’è ovviamente un obbligo che i compagni debbano venire a dirmi le cose, si condivide e io fuori dal campo cerco di dire la mia in modo pacifico per fare da collante nello spogliatoio”.

Come immagini la ripartenza?
“In questi momenti ti accorgi della bellezza delle cose semplici che fai tutti i giorni: ci sarà più voglia, emozione, competitività e agonismo, perché sarà mancato troppo a tutti. Sarà una grande gioia la ripresa dello sport. Difficile immaginare di ricominciare a porte chiuse, perché noi giocatori siamo abituati ad avere il tifo, ma ci adegueremo. Preferirei iniziare anche un po’più in là nel tempo, ma se possibile a porte aperte; inizialmente anche con meno tifosi per il distanziamento sociale che dovrà essere rispettato, ma non a porte totalmente chiuse”.

Quanto è stato difficile allontanarti da casa fin da ragazzino?
“Io e mio fratello – due anni più grande di me – siamo andati via nello stesso periodo: lui a Siena e io a Trapani, perché ero in 3a media e non volevo allontanarmi troppo da casa. Inizio difficile perché abiti con altri ragazzi, devi andare in una scuola nuova, amici nuovi; ma dopo il primo anno così a Trapani sapevo cosa mi aspettava. Quando sono andato a Siena c’era mio fratello, ero agevolato dalla sua presenza. Da lì in poi è stato meno difficile. I miei non mi hanno mai fatto mancare nulla e poi ho conosciuto tanta gente, ho creato bellissimi rapporti. La cosa che mi porto dietro dalle tante esperienze in diverse città (Trapani, Siena, Bologna) sono proprio le persone conosciute, soprattutto quando ero più piccolo perché andavo a scuola e vivevo molto di più la giornata. A Siena torno spesso perché mio fratello vive lì e mi piace la città, a Bologna pure: vivevo in centro e mi è sempre piaciuto molto girare a piedi e scoprire le città in cui vivevo”.

A Bologna, sei stato su entrambe le sponde cestistiche.
“Sono stato agli Eagles Bologna perché li ritrovavo il mio allenatore a Siena, Salieri, che mi ha chiamato; ma intanto facevo le giovanili alla Virtus. Era un po’difficile (ride, ndr), ma devo dire che quell’anno è stato bello perché nonostante fossimo in B2 andavamo in trasferta con 500 tifosi al seguito, cosa che non mi sarei aspettato. Poi facevo le giovanili in Virtus quindi mi prendevano tutti in giro, anche a scuola ovviamente, ma era sempre un gioco, un divertimento sia per me che per loro. Sono infatti rimasto in buoni rapporti con entrambe le parti”.

Esordio in Virtus?
“Il mio percorso è stato di iniziare dalle serie minori. Poi dopo la B2 dovevo andare in prestito alla Fortitudo ma non si trovò l’accordo, quindi rimasi in Virtus a giocarmi un posto. Fortunatamente coach Finelli e Bencardino (preparatore atletico) decisero di darmi un’opportunità e in precampionato, senza Poeta e Gigli che erano con la Nazionale, mi ritrovai play titolare, ho dimostrato che potevo stare in campo e da lì in poi mi hanno concesso minuti. La mia prima partita da giocatore di A è stata contro il CSKA Mosca in amichevole, non delle più facili. Davanti avevo Aaron Jackson, Drew Nicholas, Sonny Weems, ero emozionato. Poi iniziata la partita basta, non contava più chi avessi davanti. Da lì in poi ho cominciato a giocare sempre di più. L’esordio ufficiale è stato fuori casa a Cremona, in casa la seconda con Milano ed è stato pazzesco. Abbiamo vinto alla fine, ho giocato bene e c’era la curva della Virtus piena. Ero abituato al tifo ma non in palcoscenici così importanti. Lì ho pensato di essere arrivato dove volevo arrivare, anche se per come sono fatto volevo sempre di più”.

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