Tornata ad avere paura dopo l'illusione di essersi messa alle spalle non solo un po' di squadre ma anche e soprattutto il periodo negativo, la Fortitudo sta capendo sulla propria pelle che quel che nasce tondo non muore quadro, e che non è bastato cambiare buona parte della squadra (4 gli innesti, ancora più i saluti) per modificare una filosofia di base, a quanto pare, non funzionale. Al punto che sarebbe facile puntare il dito principalmente su quelli che sono rimasti, ma forse sarebbe ingeneroso e non corretto. Di fatto, con l'ultimo posto - al lordo del numero di gare giocate, diverso rispetto ad altre - e con il siluro di Antimo Martino a Reggio Emilia, l'ultima giornata ha detto che, con il senno di poi, quel divorzio della scorsa primavera non s'aveva da fare.

Sono tanti gli incroci tra le due realtà, basti pensare al lacrimare dei nostalgici quando Antimo vinceva e la Fortitudo perdeva, basti pensare allo strapparsi i capelli alla notizia del rientro in Italia di Sims, ma a 70 km da Bologna (e l'ex, a Reggio, non sta facendo miracoli). O basti ricordare i tre precedenti in stagione, sempre favorevoli al molisano. Evidentemente, quel divorzio non s'aveva da fare, ma cosa fatta, come si dice. Oggi, guardando nel proprio orticello, la Fortitudo ha il solo compito di dover salvare la pelle in questo finale di stagione, e poi starà alla società liquidare tutti quelli ritenuti responsabili di una annata davvero al di sotto delle aspettative. E fare autocritica riguardo all'idea di poter costruire roster facendo somme di statistiche e non di atteggiamenti e/o empatie.

Per ora si va avanti senza certezze, e con la difficoltà di capire cosa non funzioni. Con la gara dell'altroieri che è lo specchio di questi microsismi quotidiani: pensiamo a Banks, cifre e percentuali in calo rispetto agli anni scorsi ma anche con la migliore media assist a partita da quando è in Italia (5.1). O Withers, che a Treviso è tornato in doppia cifra dopo un eone e che ha pure difeso, ma qualcuno là sotto si deve prendere la responsabilità dell'aver fatto diventare Vildera un novello Shaq. O Aradori, eroico prima ma anche nuovamente arrivato a fine gara in totale apnea e colpevole dell'evitabile antisportivo che è stato il sassolino da cui ha avuto vita la successiva frana. Insomma, tutti bravini ma incompiuti, nel più classico degli interruptus.

Poco altro da dire: mancano 8 partite, ognuno tiri fuori ricordando, come disse Dalmonte, solo il nome della squadra e non il proprio cognome, e poi sarà quel che sarà. Perchè questa squinternata stagione, almeno, non abbia ulteriori sgomenti.

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