nba camp
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Dopo la scomparsa di Jim McMillian - morto lunedì all'ospedale di Winston-Salem per problemi cardiaci - il Duca Nero è stato ricordato da compagni e avversari delle due stagioni passate in maglia bianconera, dal 1979 al 1981.

Ecco alcune testimonianze, raccolte da Alessandro Gallo sul Resto del Carlino.

Mario Martini - Si presentò in palestra in giacca e cravatta con l'avvocato. Noi stavamo facendo la preparazione a Bologna già da qualche giorno. Porelli ci disse di testarlo. Lo marcai io per tutto l'allenamento. Alla fine andai dall'avvocato e gli dissi che avrei pagato di tasca mia per vederlo giocare. Era un fenomeno.

Renato Villalta - Per me è stato il più forte di tutti. I suoi movimenti senza palla erano da manuale. Aveva una velocità di piedi straordinaria. E in difesa non ti faceva sconti: ti portava via il pallone quasi con la forza del pensiero. Anticipava i movimenti dell'attaccante, che fosse Morse o Antonello Riva, Dalipagic o Delibasic: aveva una tecnica sopraffina.

Gigi Serafini - L'ho vissuto da avversario. E devo dire che sono stato fortunato, perchè per l'altezza non mi ha mai marcato. Diversamente non avrei visto palla. Era un'enciclopedia vivente del basket.

Charlie Caglieris - Se non si fosse fatto male a Brindisi avremmo rivinto lo scudetto e portato a casa la prima Coppa dei Campioni nel 1981. Jim era uno vero, che non si risparmiava mai. In allenamento era indistruttibile e non si tirava mai indietro. E in difesa non fingeva. L'avversario più forte toccava sempre a lui. E Jim lo annullava.

Gianni Bertolotti - In campo era un fenomeno. Fuori di più. Forse è stato il più grande. Come classe mi ricordava Larry Wright, con cui avrei vinto una Coppa dei Campioni a Roma.

Ettore Zuccheri - Una notizia che mi ha toccato. Con Cosic ha dato vita a una coppia straordinaria. Ricordo che Kreso passava per principio la palla a tutti. Poi, a seconda delle risposte del campo, decideva con chi continuare. Una volta a Belgrado cominciò a passare il pallone a Jim. I compagni erano liberi, ma lui voleva McMillian. Con quel gioco a due andò al riposo con 26 punti.
Aveva articolazioni e tendini logori, che gli facevano male. Prima di giocare si faceva portare due bacinelle piene di ghiaccio, poi si faceva fasciare. Il rituale del ghiaccio si ripeteva a fine partita. Era così provato che tornava a casa zoppicando. Ma non ha mai saltato un allenamento o una partita. Come quella volta a Belgrado. Non sapevamo se avrebbe potuto giocare. Si fece fasciare stretto stretto, annullò Dalipagic e segnò 45 punti. Quando arrivò negli spogliatoi si fece liberare la caviglia. Sotto la fasciatura c'era un cocomero. Per lui era normale: il più grande.


Ed ecco anche le parole di Marco Bonamico, sentito da Luca Sancini su Repubblica - Era appena andato via dai Lakers e venne a fare un camp al palasport per le squadre giovanili. C'eravamo io, Piero Valenti, Marco Baraldi e altri. Ci stavano mostrando come si prende un rimbalzo d'attacco: McMillian, che non era due metri, andò su, prese il pallone, ricadde, saltò di nuovo e schiacciò. Come fosse la cosa più semplice, e noi a bocca aperta.
Adesso quasi non par vero, ma una volta i giocatori NBA li avevi visti in foto o in super8. Dopo l'assaggio al camp, anni dopo mi ritrovai Jim compagno di squadra e mi sembrava di sognare: io accanto a lui, che aveva giocato con Chamberlain e che in un libro appena scritto raccontava di aver avuto mille donne. Noi curiosi gli chiedevamo, lui sorrideva: era molto riservato.
Anche nei campi più difficili Jim aveva la faccia di uno che passeggia sotto al Pavaglione, ci dava tranquillità, sempre il primo a incoraggiarti. E poi faceva canestro spesso 30 o 40 punti. E senza il tiro da tre.
Senza il suo infortunio avremmo vinto a Strasburgo? Che dire. Sarebbe stata un'altra cosa con Jim, quelle erano le sue partite.


(foto Virtuspedia)

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