Carlton Myers ha rilasciato una lunga intervista a Flavio Vanetti sul Corriere della Sera. Riportiamo qualche passo.


“Essere portabandiera a Sydney? Dal punto divista sportivo c'erano tanti più meritevoli di me. Ma era un periodo particolare e si lanciavano i primi messaggi per un Paese multietnico. Fu una scelta furba? Non credo che qualcuno ne abbia approfittato, ma io pensavo solo all'occasione offertami dal Coni. Il presidente Petrucci aveva ragione: la Nazionale è tutto. Oggi di me ricordano la vittoria all'Europeo 1999, il ruolo avuto a Sydney e il record di 87 punti in campionato. Ma il primato viene dopo le imprese azzurre.
La mia carriera? I momenti difficili superano quelli belli. Sto leggendo "Open", il libro di Andre Agassi. Dice che il dolore della sconfitta dura più della gioia della vittoria: concordo, spesso rammento le finali perse più che i giorni dei successi. Ma le sconfitte mi hanno reso più forte. Cosa non rifarei? Non metterei becco nelle scelte societarie. Tra l'altro l'unica volta che non l'ho fatto abbiamo vinto lo scudetto.
Italia razzista? Già il fatto che si discuta se sia giusto nominare Balotelli capitano della Nazionale di calcio spiega che non è cambiato nulla: anche per un ragazzo di colore dovrebbe essere la normalità ambire a quel ruolo. La multietnicità? Ho un doppio approccio alla questione. Chi giunge da noi può portare una ricchezza che ignoriamo. Però d'altro canto sono rigido: se scappi e cerchi tranquillità devi saperti integrare, sennò torni da dove sei venuto.
D’accordo con Salvini? Sono per il rispetto delle regole, come sostiene lui. Poi il modo in cui lo esterna, ecco, non è il più delicato di questa Terra.
I conflitti con i CT? Definire conflittuale il rapporto con Tanjevic è un eufemismo. Ho avuto scontri titanici, con Andrea Meneghin spesso in mezzo a dividermi da lui. Boscia in un time out agli Europei mi aggredì verbalmente, forse avrebbe voluto farlo fisicamente. Ero a un bivio: o saltargli al collo o accettare il rimprovero. Scelsi la seconda opzione e fu la svolta. Valerio Bianchini mi ha sempre stimolato, anche in modo pesante. Ma era Bianchini, aveva carisma e poteva permetterselo. Quanto a Messina, dopo una partita ribaltò tutta la Nazionale. Ma aggiunse: "Myers, che passa per lavativo, s'è dimostrato l'unico vero. Quella frase mi colpì: a quei tempi facevo l'originale, portavo l'orecchino...
Ero troppo individualista? Ho cominciato a riflettere quando non sono arrivati i risultati. Ho iniziato tardi col campionato di basket, avevo provato la boxe. Ho imparato da solo e mi è mancato il senso del collettivo che i coetanei hanno invece avuto. Mi arrangiavo: il mio concetto di gioco era fare canestro; poi ho afferrato che conta il gruppo.
La mia conversione? Nel 2000, dopo aver perso la prima partita della finale contro la Benetton, non avevo più fiducia in me stesso. Non volevo giocare gara-2 a Treviso, studiavo come defilarmi. Nel pieno della disperazione gridai a Dio: "Signore, non so se vorrai che vinca lo scudetto. Se non è nel-la tua volontà, lo accetto ancora; ma sappi che stavolta non ne esco". Sono una persona concreta: per me contano i fatti. E i fatti dicono che mi recai a Treviso con uno stato d'animo diverso. Quella è stata la prima esperienza in cui il Signore mi ha ascoltato. Oggi medito ogni mattina, studio i Salmi e mi interesso ai passi in cui Dio è un'ancora, un rifugio, una rocca per i momenti particolari della vita.”

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