E’ il presidente Ario Costa a presentare Matteo Boniciolli, nuovo coach di Pesaro. “Ci eravamo già girati attorno in precedenza, ora sono contento che sia arrivato lui anche se non sono contento di come ci siamo arrivati. Giriamo pagina.”

Poi, Boniciolli: “So cosa vuol dire perdere il lavoro, di Galli ho grande stima sia personale che professionale, e io vorrei essere bravo come lo è stato lui l’anno scorso. E’ un mestiere difficile, basta un tiro che cambia tutto. Chi mi conosce sa che non sono capace di raccontare storia. Per il resto, io sono prima di tutto un appassionato di basket, quindi dopo aver già perso un treno pesarese non potevo perderne un altro. Vi ho visti in tv ai tempi di Bianchini e Petrovic, e ora sono a darvi una mano in un momento difficile: l’obiettivo è chiaro, riconquistare la stima e il rispetto del pubblico di Pesaro perso dopo queste ultime prove. Pesaro è competente, come altre piazze di tradizione, e per questo deve resistere, e lo si fa tutti assieme. Se non c’è soddisfazione non si va da nessuna parte, e io fin dal primo stipendio preso per fare questo mestiere ritengo che siamo dei privilegiati che devono meritarsi questa posizione: non siamo miliardari come nel calcio ma viviamo di quello che ci piace, e non abbiamo un credito illimitato a prescindere. E la fiducia si conquista buttandosi contro il muro per recuperare una palla vagante, passando la palla, prendendo sfondamento senza fingere per poi schivare. Ho già parlato con la squadra, e non abbiamo tanto tempo, si parte già da domani: se non ci conquistiamo la stima della gente sarà una impresa quasi impossibile. Altrimenti, benchè siamo una squadra giovane e con italiani non di prima fascia, ci potremo togliere delle soddisfazioni: intanto, andare in giro e farci salutare per strada dai tifosi. Sangue, sudore e lacrime, e qualche sorriso”

Come migliorare, specie in difesa? “E’ stato un andamento sinusoidale, con alti e bassi pazzeschi. Poi la gioventù dei nostri stranieri, forse, e nello sport italiano è un attimo passare dall’ebbrezza al suicidio: sarebbe bastato un tiro messo ad Avellino e ci sarebbe ancora Galli, e io sarei a casa con in mano il telecomando. E succede che, dopo una sconfitta, aumenti la pressione eccetera. Io ho vissuto in città come Trieste dove c’è stata la grande pallacanestro, e di colpo è sparita: anni durissimi, per la città, e il sindaco mi chiese di fare il dirigente per recuperare, con la gente che è tornata lentamente a rivedere la squadra, partendo dalla B2. Abbiamo scoperto che era bello tornare al palasport, e improvvisamente arriva il signor Alma che è intervenuto: questo però è accaduto perché ci si è lavorato. E io spero che questa mia presenza pesarese di 4 mesi permetta di salvare il patrimonio che è la A1, con una realtà che divarica molto tra ricche e meno ricche, e per poi permettere ai dirigenti di prendere uno più bravo di me per fare le coppe. Indipendentemente dal valore dei giocatori, serve serietà professionale tale da ritenere inaccettabili certe prestazioni”

Come ti sei presentato ai giocatori? “Forse mi conoscono Ancellotti e Monaldi, non gli altri. Abbiamo parlato per pochi minuti, e se le cose andranno bene il merito sarà di dirigenti e giocatori: questi ultimi devono avere chiaro dove sono, cosa fanno nella vita, che giocano in uno dei più bei palasport d’Europa. Dobbiamo difendere tutto quello che abbiamo, ricordando che non basta fare cifre per avere alti contratti, se le fai in una stagione negativa. Uno sceicco ha dato un milione di euro ad un giocatore per non tirare più i rigori, e questo è delirante: recuperiamo il valore del noi, e la consapevolezza che giocare bene accanto ad un compagno che gioca bene è la cosa migliore. Non mi faccio preconcetti, qui ho trovato ragazzi attenti, disponibili, e la prima impressione è stata positiva. Anche se ho fatto solo un allenamento di un’ora e mezzo e le cose vanno poi verificate contro Torino. Io sono uno di provincia, non parlo di ‘feedback’ ma di ‘sensazioni di ritorno’, e percepisco il loro linguaggio del corpo”

Un allenatore di A deve essere più gestore che non un allenatore. “Quando ti rapporti ad un gruppo di persone devi essere consapevole che lo fai sia con il collettivo che con i singoli, e in una realtà multietnica le relazioni sono le cose più importanti. Anni fa avevo due croati in squadra, stavamo per prendere un serbo importante, ma i due portarono una foto con il tatuaggio di uno sterminatore di croati addosso a questo. Non lo prendemmo, e la cosa ci rafforzò: i due croati diedero molto di più, da quel momento. Molti dei problemi che io ho avuto in carriera è che io alleno: non sono Dan Peterson, al netto che lui era allenatore negli anni 80, io lavoro in palestra”

Il tuo primo anno alla Fortitudo ti trovasti con un gruppo molto giovane. “Non si possono mettere gli stessi vestiti addosso a corpi diversi, ma l’idea è quella di avere energia: dopo le riunioni sindacali serve sempre uno che ribalti i tavoli, e questo è il mio ruolo. Magari poi aggiungeremo qualcosa, ma ora ribaltiamo i tavoli in attesa di migliorare”

Pesaro sapeva vincere, tornerà a farlo? “Ho detto ai giocatori che negli approcci io resetto tutto, cancello il bello e il brutto. Bisogna trovare un equilibrio, una strada: so che molti mi guardano con sospetto, spesso sono stato preso in corsa perché si preferiscono inizialmente strade più confortanti, ma poi arrivo io. Questo però non mi inganna, io non penso che Pesaro sia quella che ha battuto la Virtus e nemmeno che sia quella che ha fatto male domenica. Sono qui, con una dirigenza ben presente nella società pesarese, e non certo per pettinare le bambole come dice il compagno Bersani”

Ci sono americani forse interessati alle cifre. “Io non faccio differenze di passaporto: in carriera non so se siano meglio gli americani o gli italiani, non ho mai visto nessuno, in mutande e canotta, pensare a voler perdere. Le cifre si fanno in squadre vincenti, altrimenti si cambia sport. Bisogna sempre fare in modo che ci sia squadra, senza pensare a stranieri o italiani: è questione di attitudine e magari qualche calcio in culo per i quali io sono qua”

Pesaro è già passata da una crisi, ma dopo il 2005 non c’è più stato lo stesso entusiasmo. In Fortitudo, invece, dopo la crisi si è subito tornati carichi. “Quando sono arrivato a Bologna non c’era il sold out. Noi abbiamo fatto promozione con un sedicenne in quintetto, lasciando in panca Davide Lamma per uno che veniva alle partite per fare compagnia. Poi sono arrivati i sold out, un milione e mezzo di euro in abbonamenti all’anno portati alla società, arrivati non con Wilkins ma con Raucci, Montano, Quaglia e Sorrentino. Ricordo una partita con Treviso dove questi, stanchi di rompicoglioni, buttavano via la palla. Tutti vorrebbero Platini e Maradona, ma capisco se un tifoso dopo una settimana di rottura di coglioni voglia gente che si sbatte. E poi che vinca, casomai”

Eventuali nuovi arrivi? “Vorrei andare avanti con questi, anche per non costringere la società a fare sforzi. Sarei particolarmente contento se riuscissi a salvare la squadra di Galli, anche per dimostrare che aveva fatto buone scelte”

Il video integrale della presentazione, pubblicato da Radio Incontro Pesaro.

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