Danilo Gallinari ha indirizzato una lettera a tutti gli italiani, scrivendo sulle pagine di The Players Tribune

A Tutti Gli Italiani,

Quando sono uscito da casa mia per andare all’arena il pomeriggio dell’11 marzo, tutto sembrava normale.

Era ancora così anche quando sono arrivato alla nostra arena. Era come qualsiasi altro prepartita: shootaround alle 16, poi il walk-through, fisioterapia e alla fine un breve riscaldamento sul campo. Circa 40 minuti prima della palla a due abbiamo fatto la nostra riunione e poi siamo scesi sul parquet per la partita.

A partire da quel momento tutto è sembrato strano.

Sono sempre il primo giocatore delle squadre a scendere in campo per la palla a due e, solitamente, quando arrivo i tre arbitri sono già ai loro rispettivi posti: uno a metà campo e gli altri due all’altezza di linea dei tre punti. Ma esco quella sera e gli arbitri non ci sono.

E capisco che c’è qualcosa che non va.

Appena mi accorgo che mancano gli arbitri, la prima cosa che faccio è guardare CP, Chris Paul. Sta a circa sei metri di distanza da me e mi guarda dritto negli occhi. Abbiamo la stessa espressione sul viso. Siamo i due più anziani in campo. Abbiamo giocato tante partite. Abbiamo visto di tutto. Ma non ci era mai capitato di stare in campo pronti per iniziare senza arbitri sul parquet. Quindi ci guardiamo come per dire “Che diavolo sta succedendo?”.

Poi mi giro e vedo che i tre arbitri sono tutti dal segnapunti a parlare con il nostro preparatore atletico.

Quindi ci guardiamo come per dire “Che diavolo sta succedendo?”.
Strano.

Qualche secondo più tardi sembrava che tutti avessero smesso di fare ciò che stavano facendo. Compreso il pubblico. I nostri tifosi di solito rimangono sempre in piedi finché non facciamo il primo canestro, quindi si erano già tutti alzati pronti per la palla a due. Ma al posto del solito boato, l’arena era praticamente silenziosa. C’era un’atmosfera strana. Come se nessuno sapesse ciò che doveva fare.

Non appena i giocatori hanno visto gli arbitri dialogare con i preparatori, siamo tornati pian piano alle nostre panchine. E ricordo che quando ho raggiunto il resto della squadra tutti erano molto confusi.

Nessuno sapeva che stava succedendo. Compreso il sottoscritto.

Ma sapete la prima cosa che mi è venuta in mente, vi giuro, è stata il coronavirus.

Sono italiano. Il mio Paese era già alle prese con il COVID-19 da più di un mese allora. Le manifestazioni sportive erano state sospese. Ho pensato che magari qualcosa di simile fosse successo anche qui.

Ma nessuno ci diceva niente e, a differenza mia, nessuno dei miei compagni era a conoscenza l’impatto del virus sulla gente. Perciò quando ci hanno rimandato agli spogliatoi non credo che nessuno stesse pensando quello che invece pensavo io. Erano semplicemente molto confusi. E non avevo mai vissuto una scena del genere. Di solito c’è un forte boato durante le nostre partite, ma mentre uscivamo dal campo c’era il silenzio assoluto.

Negli spogliatoi l’attesa per capire cosa stava succedendo sembrava infinita. Eravamo seduti lì cercando di capire qual fosse il problema.

Dopo qualche minuto mi sono rivolto ai miei compagni.

“Ragazzi,” dissi. “Secondo me tutto ciò ha a che fare con quel virus. Il coronavirus.”

Appena pronunciata quella frase, un gruppo di giocatori ha iniziato a farmi delle domande. E mi sono trovato in mezzo agli spogliatoi a rispondere alle domande di tutti quanti.

I ragazzi volevano solo qualche informazione. Direi che la maggior parte di loro non fosse preoccupata.

Ma io? Io ero preoccupato davvero.

“Ragazzi,” dissi. “Secondo me tutto ciò ha a che fare con quel virus. Il coronavirus.”
Sapevo ciò che stava succedendo a casa mia e mi sembrava che stesse capitando la stessa cosa anche qui. Ero molto preoccupato e spaventato, ma più che altro anch’io cercavo delle spiegazioni.

Nessuno all’interno degli spogliatoi non sapeva se la partita sarebbe stata posticipata o meno. I miei compagni erano ancora lì dentro a cercare di rimanere caldi. Qualcuno faceva stretching, mentre altri sono tornati in palestra per fare una sgambata. Si pensava che avremmo giocato lo stesso.

Poi, dopo quella che sembrava un’eternità, mister Donovan ci ha riunito per informarci che la partita era stata annullata.

Poco dopo il nostro preparatore ci ha detto che uno dei giocatori dei Jazz stava facendo il tampone per il coronavirus, ma all’inizio non voleva rivelarci il suo nome. Poi ci ha comunicato che tutti i tifosi erano usciti dall’arena e che ci era consentito fare la doccia, ma che non potevamo lasciare gli spogliatoi.

Dopo aver fatto la doccia, il preparatore ci ha informato che il giocatore risultato positivo era Rudy Gobert e poi ci hanno misurato la temperatura uno a uno per controllare se qualcuno tra noi avesse la febbre. Solo quando le nostre temperature sono risultate nella norma ci hanno finalmente permesso di andare via.

Una volta tornato a casa, la mia serata è diventata ancora più folle.

Quasi tutti quelli che conosco mi hanno chiamato o scritto per chiedermi che stava succedendo. Non ho mai visto la batteria del telefono scaricarsi così in fretta. Si è scaricata tutta in meno di un’ora.

Sono successe tante cose allo stesso tempo. E alla fine sono rimasto sveglio fino alle 3 o le 4 del mattino perché speravo di ricevere qualche notizia dalla nostra squadra o dalla NBA.

Arrivata l’ora del risveglio in Italia, il mio telefono è impazzito ancora di più. Ma quelle persone, amici e parenti a casa, non mi chiedevano ciò che stesse succedendo.

Lo sapevano già.

Lo vivevano già da diverse settimane.

È da circa un mese che ogni volta che squilla il mio telefono e vedo una chiamata dall’Italia mi preparo a ricevere brutte notizie.

E ultimamente mi squilla parecchio.

Il mattino dopo la partita annullata contro i Jazz, abbiamo scoperto che dovevamo restare a casa, metterci in autoisolamento e aspettare finché non fosse arrivato l’esito del tampone. Il mio risultò negativo ma ho deciso di mettermi ugualmente in quarantena nel mio appartamento a Oklahoma City. Praticamente l’unico contatto che ho con il mondo esterno è tramite la tv o il mio telefono. Passo più tempo ora con il cellulare in mano che in qualsiasi altro momento della mia vita.

Quando leggo sullo schermo il nome di qualcuno che chiama dall’Italia, mi preparo al peggio. Potrei raccontarvi tante storie tristi. Cose che non avrei mai immaginato di sentire.

Qualche settimana fa mi è squillato il telefono e ho visto che si trattava del mio migliore amico dall’Italia. Mi ha raccontato che sua nonna, una signora che conoscevo bene, era mancata per via del virus. Aveva 80 anni ma prima che scoppiasse la pandemia era in ottima salute.

Poi all’improvviso ha contratto il virus, e dopo è stata ricoverata. E ovviamente da quel momento in poi la famiglia non ha più potuto visitarla. In Italia in questo momento non puoi andare a trovare i pazienti in ospedale. Non ti fanno entrare per evitare che la situazione peggiori.

Sicuramente queste misure hanno senso e si capisce perché lo fanno. Ma allo stesso tempo è molto dura per le famiglie che vedono i propri cari ammalarsi. Ti spezza il cuore.

Quando è morta la nonna del mio amico la famiglia non ha neanche potuto farle visita un’ultima volta. Gli ospedali in Italia trasportano le vittime in un posto isolato per la sepoltura. Ma siccome non vogliono che le persone si avvicinino troppo ai propri cari, non gli viene neanche comunicata la destinazione dei feretri.

Riuscite a immaginare quanto può essere difficile?

Qualcuno che conoscevi e amavi da tutta la vita se ne va così. Per sempre.

Ed è una situazione che stanno vivendo tante famiglie in tutta Italia. Se hai un genitore o un caro che viene colpito dal virus e finisce in ospedale, c’è la possibilità concreta che non lo si possa mai più vedere.

Per quanto riguarda me e la mia famiglia finora sono stato fortunato per quanto sembri strano dirlo.

Mi sento fortunato di poter dire che a oggi nessuno della mia famiglia sta male. Stiamo bene.

Ma sono sempre molto preoccupato. Mio padre e mio fratello sono a Denver a gestire il mio ristorante e quindi è da un mese che mia madre è da sola in quarantena in Italia. Sono preoccupato per lei. Mi dico che andrà tutto bene, che è fortunata, vive in un grande appartamento con un balcone che le permette di uscire a prendere un po’ d’aria. Ci sono tantissime famiglie che vivono in piccole case e si sono ritrovate imprigionate. Le famiglie fanno fatica a livello emotivo e psicologico a rimanere sani in un ambiente del genere.

E non è facile non perdere la testa con tutta questa sofferenza che c’è attorno. È dovunque. Ogni giorno leggo delle storie che mi rendono talmente triste.

Vengo dal nord d’Italia che è una delle zone più colpite dal virus. Conosco tante persone coinvolte, che si sono ammalate o che hanno visto ammalarsi i propri cari. Conosco anche dei medici e specialisti che hanno chiuso i propri studi per andare a dare una mano negli ospedali sovraffollati. È il mio Paese e la mia regione quindi sono in contatto con tante persone che si trovano lì e che mi raccontano ciò che vedono. Conosco la situazione nelle case, per strada, negli ospedali, con la presenza della polizia e dell’esercito e tutto fa veramente paura.

Uno dei miei migliori amici fa l’ortopedico e sta aiutando a uno degli ospedali in difficoltà per carenza di approvvigionamenti e posti letto. Mi racconta che la situazione è peggiore di ciò che si vede in tv. Il sovraffollamento è un grosso problema e non soltanto muoiono le persone affette dal virus, ma anche coloro che soffrono di altre patologie perché non ci sono abbastanza medici o posti letto per prestare soccorso a tutti. Se ti fratturi l’anca o soffri di appendicite non c’è posto per te. Non puoi essere assistito.

Pertanto qualsiasi malattia grave o patologia può rappresentare una minaccia alla vita.

Essendo al corrente della situazione e trovandomi qui negli Stati Uniti provo davvero una sensazione di impotenza. Vorrei essere là per aiutare. Vorrei almeno stare vicino alla mia mamma o con i miei nonni che hanno più di 80 anni e sarebbero molto a rischio se dovessero essere contagiati.

L’idea che qualcuno a cui voglio bene possa ammalarsi e morire senza che io abbia la possibilità di vederli prima che sia troppo tardi è davvero il mio incubo più grande.

Durante la mia quarantena in queste ultime tre settimane ho fatto di tutto per rimanere positivo e dare supporto a chi ne ha bisogno.

Oltre a restare in contatto con parenti e amici, una delle cose che mi ha aiutato a gestire questo periodo, sono state le nostre chat di gruppo con i compagni di squadra e le chiamate su FaceTime. Il solo fatto di poter vedere le facce dei miei compagni e chiedergli come stanno le famiglie, e la possibilità di sostenerci a vicenda è davvero bello, ne avevamo proprio bisogno.

Le videochiamate assomigliano molto alle nostre partite. Perché CP non è solo il nostro leader in campo. Prende l’iniziativa anche durante le conversazioni su FaceTime. È lui a decidere di cosa parlare e la conversazione scorre.

Oltre a quello, CP e io parliamo quasi tutti i giorni. È una persona fantastica. Davvero. Già quando la situazione stava peggiorando in Italia mi disse che avrebbe voluto aiutare la mia regione e gli ospedali locali. Ha fatto tante cose per dare il suo contributo e aiutare. Non so come ringraziarlo. Ciò che so per certo è che l’Italia ha un grande amico in Chris Paul. È davvero speciale.

Per quanto mi riguarda cerco di fare la mia parte sia qui a OKC che a casa mia in Italia. Collaboro con il dipartimento sanitario di Oklahoma City per l’acquisto di centinaia di kit per i tamponi, così come per procurare mascherine e altre forniture di cui gli ospedali hanno davvero bisogno. In Italia ho partecipato alla raccolta fondi per la costruzione di un nuovo ospedale nei pressi di Milano che è stato realizzato nel giro di qualche settimana e che fornirà posti letto e cure per chi ne ha bisogno.

Anche in questo momento difficilissimo e senza precedenti sono assolutamente convinto che ce la faremo.

Lo so per certo. Non c’è nessun dubbio.

Quindi a tutti coloro che sono negli Stati Uniti, il mio Paese d’adozione, dico: continuiamo a essere responsabili e a rimanere a casa. Continuate così! Stiamo facendo la cosa giusta e stiamo prendendo tutte le precauzioni possibili. Dobbiamo stare lontani ora per poter superare la crisi insieme.

A questo punto vorrei parlare direttamente all’Italia. Al mio Paese. Al mio popolo.

Tutti quelli che mi conoscono sanno che sono una persona molto positiva. Sono ottimista. Sono anche una persona che ama il proprio Paese con tutto il cuore e conosce bene la forza e la resilienza del popolo italiano.

Ma ciò che abbiamo davanti in questo momento, questo coronavirus, è sicuramente un avversario tosto. Ma non è neanche lontanamente forte come noi.

Vinceremo.

Insieme.

Ciascuno di noi dovrà fare degli sforzi. Non sarà facile. Ma vinceremo.

Ciò che dico alla mia famiglia e ai miei amici è che ora più che mai dobbiamo restare uniti, agire per il bene comune e avere un occhio di riguardo per il prossimo. Questo ci farà scalare la montagna.

In un momento del genere lo sport sembra così poco rilevante. Eppure mi rifaccio agli insegnamenti che ho acquisito proprio grazie a questo.

Nello sport che faccio per mestiere, il basket, le migliori squadre sono quelle non si arrendono mai quando il gioco si fa duro. Sono composte da singoli individui che però lottano insieme e si sostengono l’un l’altro anche nei momenti più difficili.

E quando è tutto facile invece? Chiunque può riuscire quando tutto è semplice. Ma è quando il gioco si fa duro che si vedono i veri campioni.

Conoscendo la storia del nostro Paese e conoscendo la compassione, l’amore e la determinazione del popolo italiano posso dire senza ombra di dubbio che siamo una grande squadra.

Ce la faremo.

Tutto sta cambiando in questo momento. Ne abbiamo già viste tante e non si può sapere quanto peggiorerà la situazione d’ora in avanti. Non si sistemerà tutto domani o la settimana prossima. Non sappiamo quanto tempo ci vorrà a uscirne.

Ma c’è una cosa di cui sono certo.

Non durerà all’infinito.

E mentre sono seduto qui a scrivere posso dire sinceramente che vedo una luce alla fine del tunnel. Il nostro Paese sta già vedendo una svolta. Restiamo a casa e prendiamoci cura di coloro che hanno più bisogno di noi e in questo modo stiamo facendo del nostro meglio.

Ho tantissima stima per i miei connazionali e per il modo in cui stiamo gestendo la situazione. Siamo una grandissima squadra.

Quindi concludo dicendo all’Italia e al mio popolo che per me siete una fonte d’ispirazione.

Con tanto affetto,

Danilo Gallinari
OKLAHOMA CITY THUNDER

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