Apparso in radio e in televisione fino al penultimo, il Civ dava l'idea di essere un dinosauro sopravvissuto a meteoriti e calamità varie grazie a qualche caratteristica che, appunto, lo rendeva immortale. E infatti, quando lo chiamavano telefonicamente, più che l’immagine di un iphone sarebbe servita, forse, la foto di una cabina con tanto di gettone e rotella. Ma immortale non era anche se, l'amore per il giornalismo, anche con età e condizioni fisiche tali per cui chiunque altro, chiunque altro, avrebbe attaccato penna e microfoni al chiodo, lo ha fatto restare in zona fino ai limiti del possibile. Poi, l'incredibile godibilità delle sue esternazioni, che potevano essere discutibili, criticabili, fin troppo sanguigne, ma... avete mai avuto il sospetto che fossero, in qualche modo, commissionate e non completamente personali e sincere? In un mondo dove tanti preferiscono fare i tribuni della plebe e diventare convenienti megafoni della piazza, il Civ non aveva problemi ad andare - a volte fin troppo - controcorrente, solo per il gusto di evitare la banalità. Roba non da poco, da queste parti.

Oltre mezzo secolo di cronache, e sarà difficile pensare ad una partita del Bologna senza i suoi personalissimi voti e le sue immediate disquisizioni. Sarà difficile pensare ad un Natale senza il suo libro di memorie, che a volte potevano anche essere ripetizioni, ma vagli tu a dire qualcosa. E tutto il mondo della cultura bolognese, adesso, è un pochino più povero. Malgrado l'apparente spigolosità, e l'incapacità di sorridere solo perchè potesse fare comodo un sorriso in più, magari per avere un invito a cena o qualche altro favore.

Difficili, gli ultimi mesi, con la malattia che è avanzata e i casi del basket che lo avevano reso protagonista, e non cronista, dell'attualità. Incomprensioni, muri contro muri, e giudizi duri che potevano magari essere motivabili se provenienti dagli addetti ai lavori, molto meno quando sparati dai cosiddetti haters. E di certo non hanno migliorato il comunque irreversibile stato clinico.

Ci lascia quindi un'icona, a modo suo. Di quelli il cui slogan, se non fosse fin troppo abusato, non può non essere il classico In direzione ostinata e contraria. E due, se possibile, i ricordi personali. Intanto, la cosiddetta "prima volta che ti senti grande", quando cioè le prime paghette familiari andavano all'acquisto di Stadio, rompendo il monopolio juventino tuttosportaro casalingo, solo per leggere la sua, all'epoca rivelatrice, prosa. Quelle cose che ti fanno pensare a tal gusto fisico, nel leggere quello stile, da volerlo in qualche modo imitare. Poi, svariati anni dopo, ad incrociarlo tra studi radiofonici e altro, mentre usciva da una scalcinata utilitaria, provare un timido saluto e ottenere, come contraccambio, un barlume di scatarrata. Comunque, una medaglia sul campo.

Buon viaggio, Civ, e divertiti con i tanti personaggi che ora ritroverai: c’era bisogno di un cronista, nelle verdi praterie del cielo.


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