Non si ricorda una partita della Fortitudo senza problemi di restrizioni che avesse la Fossa presente e senza striscioni, cori, tifo. C'è anche un pizzico di storia di questo genere, nell'ultima gara di campionato e di A1 di una stagione talmente grigia da non lasciare nessun tipo di rimpianto. E si parlerà quindi di quanto esposto dai ri-nomati TIF, a risposta di dichiarazioni rilasciate di recente dalla società a recettive orecchie: si potrà disquisire su certe tempistiche e argomentazioni (gli abbonamenti in pandemia quando uscirono non portarono a levate di scudi, le questioni Giacosa e Torreverde non parevano nella lista nera, e forse anche Metano Nord, visto poi il buon esito di quella stagione, era stato derubricato a sfondone folkloristico) ma si sa. Quando c'è l'amore si sopportano anche le strisciate marroni nel water, quando i rapporti finiscono non si accetta nemmeno che lo zerbino fuori dal portone sia di poco fuori posto.

Ad ogni modo, è chiaro che così non si può andare avanti, e i filosocietari dovranno pur capire che le levatrici di solito non si accreditano poi influenze infinite sull'esistenza di chi è stato da loro aiutato a nascere. La Fortitudo ha già avuto una esperienza di crisi societaria, diaspore e via discorrendo: qualsiasi tifoso, dal più curvaiolo al più sedentario, vorrebbe evitare di ricaderci. E - se ci è dato - pure la stampa, sinceramente, di tornare ai tempi di 12-13 anni fa non ne ha la minima voglia. Quindi, senza stare qui a fare il bilancino di pregi e difetti, un solo concetto è da portare avanti: conta il bene della Fortitudo, e chiunque volesse oggi avvicinarsi a questa realtà più per proprio tornaconto andrebbe liquidato come i famosi mercanti nel Tempio. E va bene evitare lapidazioni su piazza, ma nemmeno difendere il non difendibile.

La partita di ieri? Come era previsto che andasse: Reggio Emilia ha giocato al gatto con il topo, in Fortitudo chi doveva indorare le proprie cifre lo ha fatto, chi aveva limiti li ha palesati, e se qualcuno avesse voluto domandarsi se, in caso di partita decisiva, la truppa sarebbe stata in grado di fare il gol-salvezza, forse la risposta è no. Ci si sarebbe dovuti affidare più alla voglia di Pesaro di fare i playoff (e infatti Napoli ieri ha perso) che non al compattarsi di una squadra scarsa, slacciata ed egocentrica. E che nessuna critica sia stata mossa a chi è andato in campo o in panchina lo dimostra: nessuno si aspettava che questi facessero bene, il problema è come si è arrivati ad affidarcisi. Alla prossima.

Più su - Chissà se è stata l'ultima di Mancinelli, capitano silente che sarebbe dovuto rientrare all'agonismo - parole sue - a fine gennaio, e che invece da mesi si limita a fare la ruota. Nel caso (ma non si è poi così certi), ieri la sua presenza a referto sarebbe stato l'ultimo capitolo di una storia ventennale che, forse, andava chiusa prima. Anche qua, chissà, la storia andrà raccontata scevra dagli attuali attualismi.

Spalle al muro - Guardando Groselle e Benzing c'è da chiedersi chi abbia pensato potessero fare da titolari di una squadra con ambizioni superiori all'ultimo posto. O la solita prova di Aradori, che fa 13 punti con Reggio già ai festeggiamenti e, prima, rimbalzi a parte, era rimasto a guardare pur non uscendo mai dal campo, o quasi. Anche se criticare chi fa 31 di valutazione può sembrare eccessivo, è la prova che tabellino e sostanza sono due cose diverse.

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