L’ex giocatore Gianluca Basile è intervenuto come ospite settimanale della puntata settimanale di “Effe trasmetto per te”, programma trasmesso su Radio 108 basket e condotto da Matteo Airoldi. La guardia ex Fortitudo – con la quale ha vinto entrambi gli scudetti (unico giocatore a detenere questo record) – e Nazionale (ha messo al collo tra le altre cose un Oro e un Bronzo agli Europei e un Argento alle Olimpiadi) ha raccontato a 360° la sua esperienza in biancoblù ma non solo. 

L’arrivo in biancoblù dopo aver “sfiorato” il passaggio in Virtus: “Ricordo benissimo che fu un arrivo al fotofinish perché stava per chiudere la sessione del mercato. Ricordo che non partii per l’ultima trasferta con Reggio perché già c’era in piedi qualcosa. Il mio procuratore, stando a quanto poi mi raccontò Santi Puglisi, ad un certo punto non trovava addirittura più il contratto ma poi come nei film in cui si deve scegliere che filo tagliare per non far scoppiare la bomba ci siamo con riusciti. E’ vero che sarei potuto andare alla Virtus perché ebbi un primo incontro nelle loro sede con il Presidente Cazzola e parlammo ma non ci mettemmo d’accordo praticamente su nulla. Tutto il resto è arrivato in fretta perché, dopo la Coppa Italia persa dalla Fortitudo, Vinny Del Negro – che era qui durante il lockout NBA – scelse di non rimanere e arrivai io”.

Il ’99 insomma portò bene a Basile anche in azzurro: “Quell’anno vincemmo la regular season ma poi perdemmo in gara 5 in semifinale con la Benetton Treviso con la stoppata di Marconato su Karnisovas. Due giorni dopo arrivò la convocazione in Nazionale. Immaginatevi lo stato in cui noi fortitudini versavamo. Arrivammo a Grado con i miei compagni della Fortitudo e fuori dall’hotel Boscia Tanjevic ci accolse dicendo “Avete perso lo scudetto? Non vi preoccupate, vinceremo l’Europeo.” Pesavamo ci stesse prendendo in giro.”

Sentivate pressione per le mancate vittorie in Fortitudo in quel periodo? “Io ne sentivo poca. Avevo 22 anni. L’ho provata più avanti a 30 anni quando ho giocato partite importantissime. Fa parte del gioco e devi condividerla e saperla gestire bene. In Nazionale in quel ’99 la sentivamo meno perché si è quasi subito creato il gruppo che ci ha dato forza. Le vittorie non arrivano per caso. Ci vuole talento, la squadra forte ma scatta un qualcosa che va al di sopra di tutto questo. Serve che combacino una serie di fattori.”

Quel successo ha aiutato anche a sbloccarvi e a portare una cultura vincente anche in Fortitudo? “Non lo so. In Fortitudo c’era tantissima pressione dopo le finali del 98’ perse con il “tiro da quattro” di Danilovic, i tanti investimenti e tanti secondi posti. Non è stato facile ma Carlton ha iniziato a vincere e trascinare quando ha capito che poteva fidarsi degli altri. Nessun grande campione, anche in NBA, vince da solo. Senza il supporto di tutti non puoi farcela.”

Con chi sei rimasto ancora in contatto di quella Fortitudo? “Ho qui con me lo storico massaggiatore Abele Ferrarini che è una parte di me. Oggi mi hanno detto di chiamalo perché era giù di morale. L'ho fatto e mi ha raccontato che non trovava più una cosa. Gli ho detto di cercarla bene e lui si è detto sicuro di averla messa in un posto dove poi non la trovava. Venti minuti dopo mi ha richiamato dicendomi che li aveva trovati perché erano in un altro posto. Dei vecchi compagni sento Myers con cui mi piace confrontarmi, l’ultima volta proprio la scorsa settimana, Meneghin, con il quale ho condiviso la parentesi in Fortitudo e In Nazionale visto che ero l’unico che lo riusciva a sopportare, e sento Galanda.”

Quando è scattato il click che vi ha fatto pensare di vincere lo scudetto ’99-’00? “Era semplicemente l’anno giusto, secondo me e lo abbiamo capito sin dal primo giorno. Non c’è stata tanta storia in regular season e l’unico neo è stata la sconfitta in gara 1 sempre con la Benetton. Dopo quella partita ce ne siamo dette di tutti i colori ma poi Recalcati ci ha aiutato a trovare la quadratura giusta e ci ha dato la spinta in più.”

Quali derby ricordi con maggiore e minor piacere?  “Tutti i derby che ho giocato mi hanno lasciato piacevoli ricordi soprattutto per l’atmosfera unica. Quando vincevamo eravamo ovviamente più contenti ma ogni derby mi ha lasciato qualcosa. Il semplice fatto di giocarli era un piacere. I peggiori sono stati quello del -37 e quello di Eurolega in cui ci facemmo rimontare 18 punti quando eravamo ad un passo dalla vittoria.”

Ripensando alla finale del 2005 cosa hai pensato prima di fare quel passaggio a Douglas e mentre gli arbitri ricontrollavano l’Instant Replay?  “Un mio compagno, non ricordo se fosse Smodis, poteva fare un passaggio qualche istante prima a qualcuno che tagliava, ma la palla arrivò a me che mi infilai in una sorta di tunnel ed ebbi quell’intuizione. La chiamo anche fortuna, ma riuscii a farcela nonostante mi avesse chiuso bene la difesa di Milano. Douglas fece il resto ma io non mi voglio prendere meriti perché forse potevo gestirla meglio. Gli istanti dopo sono stati clamorosi. Avevo una voglia matta di chiuderla perché ero stanco e avevo qualche acciacco. Giocare gara 5 sarebbe stata una mazzata. Pregavo che non succedesse. IO non vedevo le facce degli altri in quei momenti, ma poi rivedendola mi sono accorto che Djordjevic e Coldebella erano certi che fosse buono.”  

Cosa ha permesso alla Fortitudo di restare sulla cresta dell’onda e vincere anche nel 2005 quando gli investimenti, pur alti, non erano più quelli degli anni d’oro? “La costruzione di un’identità vincente portata da Repesa. Tutto nato passo dopo passo. I giovani che hanno dato un grande contributo, la qualità di Lorbek e Smodis che hanno fatto grandi cose. Parliamo di una crescita globale.”

Quell’anno ci furono anche l’infortunio al ginocchio di Vujanic e l’esclusione di Pozzecco? Cosa successe esattamente e come prese la squadra il taglio di “Poz”? “Ad Avellino in partita Repesa cercava di far capire uno schema a Mancinelli in tutti i modi e la partita era praticamente compromessa. Al Poz si chiuse la vena e bestemmiando spiegò al Mancio la situazione. Dopo la partita in riunione, se non ricordo male, disse subito o lui o me. Noi credevamo che fosse la rabbia del momento per la sconfitta e il martedì dopo quando il Poz salì a fare tiro in campo Repesa prese e andò via senza dire una parola. Dopo ovviamente comunicò a Zoran la volontà di tagliare Pozzecco.”

Avreste vinto lo stesso quello scudetto?  “Assolutamente sì. Poz non è il cancro della pallacanestro. Aveva vinto con Varese e fatto benissimo in Nazionale. Era cambiato, maturato e capiva le situazioni anche se a volte esagerava. Repesa fece quella scelta lì e tutto andò comunque bene”

CAPITOLO NAZIONALE

Senti più tua la medaglia d’oro agli Europei del ’99 O l’argento alle Olimpiadi del 2004? “Sicuramente la medaglia del 2004 è stata il coronamento dei tanti sacrifici fatti in estate con la Nazionale. Erano tanti anni che lasciavamo la famiglia per andare in azzurro che è un grande onore. Stare lontani da casa per due mesi per tanti anni non è stato facile. E’ stata molto bella anche l’esperienza a Stoccolma nel 2003 quando vincemmo il Bronzo e ci qualificammo per quella Olimpiade. Nel ’99 non ero ancora un protagonista. Quando sei protagonista come nel 2004 è sempre tutto più bello e importante.” 

Cosa è mancato alla generazione azzurra dopo la vostra per arrivare a vincere? “A livello di talento la generazione dei Belinelli, dei Gallinari e dei Datome era superiore. Non c’è confronto. Sono più forti anche dal punto di vista tecnico ma anche fisico. Noi però avevamo un’energia in più che ci ha permesso di arrivare a quei risultati. Eravamo più abituati a giocarci palloni importanti anche nei club. Tenevamo noi la palla in mano quando scottava. Senza voler fare critiche o accuse questo non è accaduto alla generazione successiva. Non è colpa loro è solo la situazione. Se fossero rimasti in Europa i nostri giocatori NBA forse avrebbero maturato una maggior lucidità nei momenti chiave. Si tratta di dover fare la cosa giusta nel momento giusto e se non sei abituato ti riesce più difficile fare giocate pesanti. Questi ragazzi che ho citato hanno talento e fisicità da vendere ma quando hanno dovuto chiudere le cose come ai Mondiali contro la Spagna è emersa la maggior esperienza in certe situazioni degli avversari. Per giocarsi gli ultimi palloni serve esperienza. Come se io a Parigi nel ’99 a 23 anni avessi voluto giocare le azioni chiave per vincere. Non ero ancora abituato. E l’abitudine si acquisisce anno dopo anno anche commettendo errori. La cosa importante è capirli quegli errori e non ripeterli. Per vincere serve tutto questo ma anche un po’ di fortuna. Penso all’accoppiamento nostro nel 2004 con Portorico”

CAPITOLO BARCELLONA

L’Eurolega è stato il coronamento della tua carriera? “Abbiamo festeggiato il decennale di quel trionfo pochi giorni fa con tanti video e servizi molto belli. Fu un successo bellissimo, la vinsi a 35 anni dopo 10 anni che giocavo in Eurolega. Ero andato lì proprio per provare a vincerla perché purtroppo non c’ero riuscito con la Fortitudo con la quale ero comunque arrivato in finale. Presi al volo quell’opportunità che mi diede Zoran Savic. La mia carriera è stata contraddistinta dal voler alzare l’asticella in modo graduale. Dopo lo scudetto decisi che dovevo fare questo passo e alzare ancora l’asticella.”

LA SORPRESA FUORIPROGRAMMA

In trasmissione è intervenuto anche Gianmarco Pozzecco che dopo un simpatico scambio di battute ha chiesto a Baso chi fosse l’allenatore più bello mai avuto. Eloquente la risposta: “Ho avuto tanti allenatori brutti e Gianmarco è stato il più giovane quindi mi sentirei di dire che il più bello è lui. Ma come dice il proverbio “nel paese dei ciechi anche un guercio può diventare il Re”. 

tratto da basketmagazine.eu

(foto Fabio Pozzati)

 

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