In mezzo c’era stata l’Iliade, l’Odissea, l’Eneide e chi più ne ha più ne metta. Poi, alla fine, una realtà chiamata Fortitudo, senza vie di mezzo o ibridi di sorta, in campo la si riuscì a mandare, per provare a ripartire dopo Sacrati e tutto il resto. Con Marco Calamai a fare da primo organizzatore, e Dante Anconetani richiamato dal suo ristorante a Pavia come presidente, e una squadra costruita come si fa di solito quando si deve ripartire dal nulla, e senza nessuna radice a cui aggrapparsi: ovvero, si fa con quello che si trova.

Non erano le condizioni ideali per Toto Tinti, che era sì un eroe delle minors, che bene aveva fatto a Cento e Mirandola, tra le altre cose, e che si dichiarò anche e soprattutto un tifoso Fortitudo. Ma, si sa, quando attorno ci sono ancora macerie, e tanta di quella voglia di risollevarsi da aver anche un po’ di legittima fretta, ecco che le cose si misero subito ad andare al contrario.

La squadra, era stata fatta con gente forse – anzi, senza forse – poco incline al sacrificio e all’accettare di fare un passo indietro per il bene comune. E lo stesso Tinti, quando parlava con la stampa, non faceva mistero di non avere la minima idea di cosa potesse passare per le zucche dei giocatori, e quindi quale rendimento sarebbe stato messo sul campo il giorno dopo. Di certo non lo aiutarono alcune dichiarazioni di Marco Calamai, che poi fece mea culpa dopo essersi dimesso dal ruolo che aveva: la Fortitudo non poteva permettersi di prenderne 20 a Tortona nella prima trasferta della stagione (ci giocavano Venuto e Samoggia, tanto per la cronaca) per il solo nome che aveva, disse ad esempio. Non il modo migliore per allontanare la pressione, si poteva dire, e infatti quella Fortitudo passò tutto l’autunno ad aspettare la famosa amalgama, che però sappiamo bene che al mercato non si compra.

“Ma cosa state a giocare contro Tortona? Vi aspettano a Tel Aviv, a Mosca! La Fortitudo deve giocare in Eurolega!”: parole e musica di Teo Alibegovic, in un raduno di tifosi in Furla a raccontare del passato non capendo, forse, quali fossero le reali sfide del presente. Continuando a ragionare ricordando Tel Aviv e Mosca era normale che scappasse dalla vista il fatto che prima ci fosse da battere Tortona, che infatti sconfisse la Effe pesantemente portando l’inevitabile saluto al primo coach della ripartenza. Che non perdeva nemmeno tanto (10-5), ma che non pareva in grado di dare quella scossa che sarebbe servita per svegliare un ambiente troppo viziato e coccolato.

Senza mai alzare la voce, nemmeno raccontando di certe faccende che capitavano in allenamento, e che poi lo stesso Calamai avrebbe, scusandosi, descritto in un secondo momento. Ovvero, le ingerenze del Garante a voler dare consigli da antico allenatore a chi era l’allenatore in carica. Troppo confusa e caotica, la Fortitudo uscita dal caos, per poter avere risultati immediati. Un gentiluomo d’altri tempi, Toto Tinti che allenava basket davvero come dopolavorista, dato che la sua attività era un’altra, e che anche per questo mai aveva potuto allontanarsi più di tanto dalle sue zone lavorative. La persona giusta nel posto sbagliato, chissà.

(foto Valentino Orsini)

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IL DERBY ALLA FORTITUDO 95-92