Forse è ingeneroso quanto Daniele Albertazzi disse su di lui, come riportato da un libro di Emilio Marrese uscito nel 1993. “L’apporto di Lino Bruni non fu decisivo. Pillastrini pagò la sua coerenza ma sono convinto che avrebbe portato in salvo la squadra”. La controprova non c’è, se non il fatto che 40% era il record di Pilla (6-9, curiosamente anche quello dell’anno prima, 12-18), 40% fece Bruni, sempre 6-9. Però, a Reggio Emilia, quella sera, in panchina c’era lui.

Lino Bruni aveva giocato in Fortitudo tanti anni prima, ma come allenatore di serie A era fermo alla retrocessione con il Gira del 1979. Venne però richiamato, a sostituire Stefano Pillastrini, a partire dalla prima giornata di ritorno del 1991-92. Le cose non cambiarono più di tanto, perché la squadra problemi ne aveva e, non cambiando nessun giocatore, i problemi erano rimasti. Con la mancanza di personalità in trasferta e un approccio più molle, più nervoso, in casa: d’altra parte la piazza aveva fatto fronte comune l’anno prima, ma stavolta un po’ di pretese in più le aveva, e la truppa ne risentiva. Si passò tutta la stagione a cercare una alternativa a Pete Myers, che già all’inizio, con Pilla, aveva dimostrato di non essere in grado di reggere il ruolo: due espulsioni, e una squalifica (curiosamente, l’unica vittoria in trasferta, a Udine, arrivò con lui in borghese), ma anche un mercato che nulla offriva. Poi, lentamente, ci si accorse che altri guai li stava dando Shaun Vandiver, lungo troppo molle che dopo una partenza sprint si era afflosciato come un budino. E, di punto in bianco, la ricerca passò dal settore esterni a quello dei lunghi.

Come detto, Bruni non riuscì a portare nessuna scossa, e la Mangiaebevi continuò a sfangarsela ma a faticare in casa, e a non dare segni di vita in trasferta. Poi, arrivò lo sprint finale: altre lacrime di Zatti, nuovamente killer della sua antica nutrice, e il crac definitivo di Vandiver che portò al doverlo assolutamente cambiare (e anche a inutili tentativi di fare ricorsi per errori di tesseramenti, vedi il famoso Tony Zeno. Grazie al cielo, si potrebbe dire con il senno di poi). Si scelse Ronnie Grandison, che però saltò per via di una domanda fin troppo zelante che un cronista bolognese girò negli States a chi non sapeva nulla di questa trattativa. E, infine, Teo Alibegovic: chi lo consigliò? Mike Sylvester, Zare Markovski, Jure Zdovc, Sbirulino, chissà. Fatto sta che il resto lo racconta la storia, con il suo arrivo, la dichiarazione del so fare tutto, e il 2 aprile 1992 che sarebbe diventata una giornata storica per il mondo Fortitudo. L’unico che per decenni, e ancora adesso, celebra non una vittoria, ma una non retrocessione.

E ok, forse la squadra si sarebbe salvata anche tenendo Pillastrini (lo aveva fatto l’anno prima) e il vero jolly di quella stagione sarebbe stato un Salvatore sloveno con le orecchie a sventola più che un cambio di marcia in panchina. Però a Reggio c’era Lino Bruni, abbastanza per renderlo uno degli eroi di quella notte.

(PS: Pete Myers sarebbe poi finito a Chicago, nei Bulls, praticamente a sostituire MJ nel suo periodo di amore per la mazza. Non certo a fare il play).

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IL DERBY ALLA FORTITUDO 95-92