Saltato Marco Calamai non senza dolore, era difficile per la dirigenza Fortitudo trovare un allenatore per proseguire la stagione, perché da un lato c’era la voglia di vedere se ‘sta promozione la si sarebbe potuta comunque ottenere, dall’altro lato, con la firma ormai firmata di Sergio Scariolo (all’epoca a Desio), non ci si poteva impegnare con un nome che non fosse quello di un, come si suol dire, traghettatore. E allora la scelta fu quasi inevitabile, ovvero la promozione di Dario Bellandi, vice di Calamai, per le ultime 5 di regular season e per il playout successivo.

Con quella squadra non è che si potesse far chissà cosa: correre, correre – e infatti i centelli, dati e presi, rimasero intonsi – ma una piccola modifica c’era stata. Ovvero, la minor pressione su un ambiente che aveva dato ormai per persa la promozione senza passare dai playout e che quindi iniziò a navigare a vista, nel più classico dei quel che viene viene. Con Teone Alibegovic che arrancava mentre prima correva, ma almeno con un Dallamora lentamente ripresosi dallo choc di essersi trovato l’arrembante Federico Pieri ad erodergli minutaggi. Quindi un po’ più rassegnati, ma anche meno strozzati dalle aspettative.

Il playout fu una specie di Iliade, di Odissea, fate voi: tre sconfitte nelle prime quattro, e l’idea che tutto fosse ormai finito in cavalleria, a rimpiangere la bella condizione autunnale e quella squadra troppo Penelope per arrivare a completare l’opera. Poi, a Rimini, qualcosa cambiò: Fumagalli, in pessime condizioni fisiche, non venne difeso dalla lunga distanza e mise sei triple per far saltare il Flaminio e ridare un po’ di speranza alla truppa. Si sconfisse Roma, ma a Trapani, contro una squadra ormai in vacanza, arrivò una sconfitta figlia di un malanno intestinale di Teone e di una situazione falli drammatica (uhm.. chi arbitrava? Ah, Zancanella. Sarà stato un caso). Sarebbe servita una serie di incroci di risultati, e questi arrivarono, fino all’apoteosi della famosa partita contro Rimini.

Quella che sarebbe stata l’ultima o quasi vittoria di un campionato, da parte della Fortitudo, sul proprio campo. Quella dei liberi sbagliati da Pieri. Quella di Pallonetto e dei tre secondi di Israel, forse l’unica fischiata dubbia a favore della Effe nella storia delle partite senza via d’uscita. Quella della schiacciata di Comegys che trascinò giù sul parquet Fossa e non solo. Quella di tutto il palazzo a chiedere a Seragnoli Compraci Cazzola. Quella che iniziò con un problema: motivi di organizzazione avevano portato a dover cambiare le maglie di gioco prima della palla a due, e qui Bellandi si oppose e nemmeno poco. , la richiesta bocciata all’unanimità. La cabala non poteva essere spezzata e forse chissà, anche quella sua decisione contribuì alla promozione e al via, ufficiale, dell’era Seragnoli.

Come era successo con Lino Bruni dopo Pillastrini, anche Bellandi non diede la scossa: 60% prima e 60% poi il bilancio, ma contro Rimini, quel giorno, in panchina c’era lui. Si costruì un credito, tanto che molti storsero il naso quando, legittimamente, Sergio Scariolo decise che si sarebbe portato dietro il suo vice, Luca Dalmonte, lasciando Dario con un arrivederci e grazie. Ma una parte della storia l’ha fatta pure lui, che nell’aprile 2015 ci ha lasciati prematuramente.

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IL DERBY ALLA FORTITUDO 95-92