Era il 1983, quando Giordano Consolini si affacciò al mondo bianconero. Da allora, a parte una breve parentesi appena fuori dalla sua Bologna, a Reggio Emilia, da quel mondo non è più uscito. Conoscendo i fasti della prima squadra, da assistente di Ettore Messina nei giorni della gloria e dell’Europa vista dall’alto, e ancora da capoallenatore riportandola dove meritava di stare, nella massima serie, dopo le stagioni più difficili. Ma soprattutto dedicandosi ai giovani, per scelta, “per cercare di aiutarli a crescere attraverso lo sport che amo, la pallacanestro”. La passione che si fa vocazione. In modo naturale.

Consolini, perché in casa Virtus il settore giovanile è così importante, così caratterizzante?
“Questo andrebbe chiesto a chi anche oggi ci investe, credendoci. Personalmente, penso che nella nostra società sia diventato una questione culturale, e così dovrebbe essere in effetti per tutte le società. Il settore giovanile si può fare bene o male, ci si può investire tanto, così così, anche meno. Ma è un dato di fatto che per qualcuno, pochi purtroppo, è qualcosa che fa parte dell’essere società, dei doveri e delle responsabilità che ha una realtà sportiva importante come la nostra. Che a mio modo di vedere si deve fare carico della formazione, proprio come una società civile, uno Stato, dovrebbero occuparsi della gioventù, della sua educazione, della sua crescita”.


In casa Virtus sono concetti ben noti da tempo.
“Al di là delle regole, delle condizioni che sono cambiate dai tempi dell’avvocato Porelli a oggi, ci deve essere un senso di dovere nei confronti della formazione. Credo che una società di vertice debba occuparsene, e dare anche l’esempio alle altre società. In qualche modo, deve fare tendenza”.


Fare tendenza oggi può voler dire invertire un trend che sembra non lasciare troppi spazi a chi esce dal settore giovanile e cerca di mettersi in luce col talento e la volontà.
“Bisogna fare in modo che il settore giovanile torni ad essere un’esigenza. Ovvio che contano regole e condizioni attuali. Quando c’era l’avvocato Porelli era davvero conveniente allestirlo, ti dava anche degli introiti oltre a produrre giocatori per la prima squadra e un senso di appartenenza, e a dare ai tifosi il piacere di vedere un ragazzo del vivaio crescere e diventare un po’ alla volta un giocatore importante. Sono valori oggi disconosciuti, tranne in qualche rara eccezione. La Virtus è una di queste, e oggi rafforza il senso di un progetto che ha radici antiche e guarda al futuro”.


Cosa hanno dato, a Giordano Consolini, questi decenni di lavoro accanto ai giovani, arricchiti da sei titoli italiani di categoria?
“E’ stata una mia scelta. Non l’ho mai messa in discussione in tutti questi anni, mai un secondo ho pensato a cosa avrei potuto fare se… Fuori dalla retorica, amo profondamente il rapporto quotidiano con i ragazzi e il poter essere, presuntuosamente, un loro aiuto per farli crescere meglio. Attraverso la pallacanestro, che amo.
E’ una cosa egoistica, prima di tutto, un mio appagamento. Ma è sincera, per questo credo di poterla “confessare” apertamente”. Vado in palestra con loro e provo da sempre a farli diventare giocatori migliori e, anche se loro non lo sanno, uomini migliori. Perché mai come in questo momento mi rendo conto che hanno bisogno di regole. E noi possiamo fargli capire quanto sia bello darsi una disciplina, che è una parola bellissima: disciplina non è stare in fila per tre, ma darsi delle regole cercando di onorarle”.


Banale chiedere se e quanto siano cambiati i giovani, in questi trent’anni.
“I giovani sono sempre giovani, è il mondo che è cambiato. L’unica cosa che viene percepita in modo leggermente diverso è il senso della responsabilità. Affrontare le responsabilità e sapere che comportano delle conseguenze, positive o negative. Ma se si è un po’ persa questa sensazione è colpa nostra, siamo noi cinquantenni ad essere meno responsabili di quelli di trent’anni fa”.


Dopo oltre un decennio al timone del settore, continua a vivere questo rapporto guidando una squadra giovane, l’Under 15, nella struttura gestita ora da Federico Vecchi, che ha raccolto il suo testimone. Cosa la spinge a varcare oggi come trent’anni fa la porta della palestra Porelli?
“Stare in mezzo ai giovani significa cercare di stare al passo, aggiornarsi, essere svegli, avere un atteggiamento positivo. Questo, mi illudo, può darmi la possibilità di invecchiare meglio”.


In questo cammino di insegnamento del basket alle nuove generazioni, quali sono state le persone determinanti per Giordano Consolini?
“Ho avuto la fortuna di avere grandissimi maestri, di crescere e formarmi nella Virtus. Tra persone eccellenti, allenatori e non solo: partendo dall’avvocato Porelli per arrivare a Ettore Messina, passando dal professor Enzo Grandi, da tanti altri personaggi unici. Chiaro che Ettore ha un posto speciale in tutto questo. Se ho potuto stare nel basket, essere a contatto con campioni immensi, avere esperienze inimmaginabili, devo ringraziare prima di tutto lui”.


Marco Tarozzi

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