Dodicesima puntata della rubrica “Dual & Post Career”.

Il protagonista è Marco Mordente, classe 1979, ex-atleta che ha giocato le giovanili nella natia Teramo e a Treviso, per poi giocare da professionista a Milano, Ragusa, Reggio Emilia, Siena, Roma, Caserta e Reggio Calabria. Con Treviso ha vinto uno Scudetto, una Coppa Italia e una Supercoppa Italiana.

Atleta Azzurro, dal 2010 al 2011 è stato Capitano della Nazionale Italiana di Pallacanestro. Con l’Italia ha vinto la Medaglia d’Oro ai Giochi del Mediterraneo di Almeria 2005 e quella di Bronzo a Tunisi 2001, partecipando anche al Campionato Mondiale 2006 e agli Europei 2005 e 2007.

Oggi Marco è Business coach, speaker ispirazionale e commentatore televisivo per Eurosport.

Questa è la nostra intervista.

Chi è, oggi, Marco Mordente?
«Un professionista che aiuta le persone e i team in ambito aziendale a riconoscere e allenare i comportamenti funzionali, per ottenere performance migliori».

Quali doti della tua carriera ti sono tornate utili per il post carriera?
«Le competenze che ho acquisito nel corso della mia carriera sono il team working, quindi la capacità di lavorare in un gruppo; l’empatia, cioè capire quello che la persona con la quale mi relaziono sta provando; la capacità di ascoltare quello che un allenatore, un compagno, un tifoso, un manager o un avversario mi sta dicendo e verificare poi se quello che mi è stato detto l’ho capito. Un’altra capacità è relazionarsi con diversi portatori di interessi e cioè capire che confrontarsi con un allenatore è diverso rispetto a farlo con un compagno, con un manager o un tifoso. C’è poi la voglia di arrivare al risultato trovando un modo, una strada, una strategia per arrivare al risultato. Quindi l’autocritica, perché da ex-atleta riconosco che gli atleti sono sempre alla ricerca di feedback che possano aiutarli a crescere: intendo un feedback di sostegno, così come uno critico che possa aiutare ad analizzarsi e guardare quello che si sta facendo. Per ultimo, credo la capacità di riconoscere il valore della fatica, perché solo tramite la fatica si può alzare il livello di pensiero e ottenere risultati diversi».

Com’è stata la tua esperienza di studente, in questi ultimi anni?
«Ho smesso di giocare quattro anni fa e, dopo alcuni mesi, ho ripreso in mano il mio percorso di studi. Inizialmente con un percorso di formazione all’interno di Randstad, poi ho intrapreso una strada per diventare business coach. Tutti e due sono stati percorsi impegnativi, soprattutto il secondo. La mia esperienza da studente è stata complessa e complicata, perché fermare il corpo e allenare la mente per stare attento, recepire, ripetere e scrivere non è stato così semplice. Però posso dire che ho riscoperto il piacere di aprire tante porte e guardare il mondo da molti punti di vista, acquisendo molte conoscenze».

Se tornassi indietro, negli anni in cui giocavi, sceglieresti di prepararti in maniera diversa per il post carriera?
«Assolutamente sì. Ho gestito in modo poco strategico il mio post carriera, perché stanco dell’ultima esperienza sportiva. Ho deciso di fermare la palla all’improvviso, senza aver preparato una strada diversa. Questo mi ha portato a dover fare un po’ più di fatica per riprendere, ma soprattutto non sono riuscito a dare subito risposte a quelle domande che continuavo a pormi negli ultimi anni della mia carriera, come: cosa voglio fare? Forse, se mi fossi confrontato un po’ di più con l’ambiente extra-cestistico, con figure diverse, avrei gestito meglio l’inizio del mio post carriera».

Quali consigli ti senti di dare a un giovane atleta?
«Intanto gli suggerisco di non interrompere mai il percorso di studi, che sia esso a lungo termine come un’esperienza universitaria, a breve termine, come un corso di formazione, o ancora più breve come i corsi delle piattaforme digitali. Questo ti dà la possibilità di crearti un futuro nel post carriera, ma anche di creare un pensiero che non è vincolato ai soliti modi di pensare della pallacanestro. Poi ti dà la possibilità di confrontarti con persone diverse e anche alleggerire alcune tensioni o preoccupazioni, che chi gioca o ha giocato guarda sempre con l’occhio dell’atleta».

Quali consigli dare a un veterano, che ancora non ha scelto cosa fare quando avrà smesso di giocare?
«Trovare una figura che possa essere fungere da mentore, guidandolo nel post carriera. Figure lontane dal mondo della pallacanestro e che possano anche mettere in difficoltà, perché dalle difficoltà a volte nascono cose nuove e funzionali per il futuro. Insomma: uscire dal contesto della pallacanestro, per confrontarsi con altri mondi».

Qual è il sogno professionale di Marco Mordente?
«Diventare una figura di riferimento in Italia per ciò che riguarda lo sviluppo personale e quello dei team, in ambito aziendale e anche in ambito sportivo. Mi riferisco a team che vogliono crescere per ottenere grandi risultati».

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