Lasciamolo ad Aznavour, il concetto di come sia triste Venezia. E’ una Fortitudo clamorosa, quella che rimanda a casa i campioni d’Italia con una prova nemmeno tanto dissimile da quelle a cui si era stati abituati nella categoria, nelle categorie inferiori. Il collettivo, l’energia e l’intensità, l’onda del pubblico, tutte quelle cose che rischiavano di essere non scontate, ora che di serie A si tratta. Invece i Martino’s non hanno avuto particolari problemi a fare il proprio compito ed asfaltarsi la strada fino al 40’. La prima volta che ti senti grande, diceva una pubblicità di duemila anni fa. Ora la Fortitudo non è ancora grande e forse nemmeno se lo chiede, ma intanto è la capolista, ed è bello sentire la curva gridare al “Campioni d’Italia”. Presto dirlo, ma intanto così è.

Per quel che riguarda la partita, Bologna ha fatto le stesse cose che aveva fatto a Pesaro e in altre situazioni di precampionato: gestione, break a metà partita e soprattutto con grande spolvero nel terzo quarto, e poi il recupero avversario che stavolta è stato contenuto. Ben sapendo che contro Venezia ci sono tanti meriti dei De Raffaele’s, e non si può addebitare la faccenda al calo mentale come era successo cinque giorni fa in Adriatico. E ora sarà bello vivere una settimana di grandi emozioni ed esaltazioni, in attesa che Varese diventi un’altra prova interessante per capire cosa sia, ‘sta Fortitudo. Che, per quanto visto in questi primi 80’, non sembra esattamente una squadra che debba puntare solo alla salvezza.

Grande, grande, grande - L’ambiente. Il gettonaro. La calma di Aradori. Il gesto distensivo tra Stipcevic e De Raffaele, che si abbracciano subito dopo il parapiglia poco prima della fine del primo tempo. Tutto, ecco.

Parole, parole, parole - Dopo una roba del genere, magari riparliamone un’altra volta. Al massimo una citazione al nuovo foglio delle statistiche per i giornalai: roba che nemmeno Champollion, nemmeno Champollion, saprebbe venirci a capo.

(foto Fortitudo - Valentino Orsini)

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