Il Corriere di Bologna propone oggi un’intervista doppia ai due responsabili del settore giovanile Fortitudo e Virtus.

Ecco le parole di Federico Vecchi, responsabile delle giovanili bianconere.

Federico Vecchi, il settore giovanile Virtus è da anni fiore all'occhiello della società. «C'è una struttura collaudata, creata da Giordano Consolini. Ho proseguito il suo lavoro con piccoli cambiamenti legati alla mia visione. Con una struttura già avviata in quel modo è semplice proseguire il lavoro».

La Virtus è una delle poche società che investe tanto a livello giovanile. «Sono molto fortunato e contento di far parte di questo progetto. Mi inorgoglisce essere parte di un'idea e poter lavorare in grande sintonia personale. Valli lo conosco da anni ed è stata una delle persone più importanti per il mio arrivo qui, con Crovetti si è instaurato un rapporto proficuo e schietto, Patuelli lo conosco da Imola, Fedrigo da venti anni e con Cavicchi siamo cresciuti insieme».

Per lei si è trattato di un ritorno in Virtus. «Mi chiamarono nel 2000 e rimasi tre anni prima che venissero meno le garanzie necessarie dopo Madrigali. Cominciai a Calderara nel 1999, poi dopo gli anni in Virtus ho girato fra Castel San Pietro, Calderara, Castiglione Murri, Virtus Federico Vecchi, nuovo responsabile delle giovanili bianconere Gira, Ferrara e Imola».

Si comincia per passione? «Quella è sicuramente la molla perché al di là di piccoli rimborsi nelle squadre dilettantistiche non si ottiene molto. Al Castiglione Murri ricordo che il presidente Tedeschi credeva molto nel settore giovanile ed eravamo tre allenatori a tempo pieno. Una cosa rara per una società di C».

Come si lavora in Virtus? «Dai nostri allenatori voghamo un livello di impegno e presenza che richiede una spiccata passione di fondo. L'idea è dare sempre più responsabilità ai più promettenti, il nostro obiettivo è avere in prima squadra staff provenienti dal settore giovanile».

È cambiato il lavoro nel settore giovanile? «Sono cambiati i ragazzi, bisogna essere bravi a coinvolgerli. A livello tecnico è cambiata la velocità del gioco, con tempi e spazi sempre più ristretti che rendono la componente fisica centrale come quella tecnica».

Se individuate un prospetto interessante, cambiano le dinamiche di allenamento? «Con i più promettenti cerchiamo di ritagliare qualche spazio in più quando è possibile. L'età giusta per fare certi ragionamenti è attorno ai 16 anni, ma non bisogna avere fretta. La scuola italiana è più graduale di quella di altri Paesi, qui in prima squadra si arriva a 19-20 anni».

Qual è la scuola di allenatori migliore? «Quella italiana è di primissimo livello. Ci dobbiamo in-gegnare perché non abbiamo la quantità di giocatori con determinate attitudini fisiche».

Qual è la criticità principale nei settori giovanili? «Inizialmente si richiedono grandi investimenti che daranno ritorni più avanti nel tempo. Quando si parla di guadagni del settore giovanile si intende a 5-6 anni di distanza e non tutte le realtà possono permetterselo».

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