Il giorno dopo il “classico” numero 105 suona ancora più forte il capolavoro tattico di Matteo Boniciolli. Premessa doverosa: a vincerla sono i giocatori che vanno in campo, gli allenatori hanno un ruolo importante ma come i Direttori d’Orchestra possono tracciare il solco, ma sono i musicisti a dover percorrere il cammino segnato e a regalare una sinfonia piuttosto che del rumore.

Di poco s’è scostato lo spartito suonato nel Derby 105 da quello 104 per la Fortitudo. Scelte già viste, questa volta però gli interpreti biancoblù non hanno stonato, piuttosto c’è da capire come mai Alessandro Ramagli non abbia trovato un antidoto al veleno iniettatogli dal suo amico triestino. Passare in “quarta” posizione su tutti i blocchi sulla palla ha tolto (così come all’andata) i rifornimenti a Lawson dentro l’area, scoprendosi un po’ sui tiri degli esterni da dietro ai blocchi (questa volta meno rispetto all’andata), ma togliendo di fatto dal gioco bianconero una pedina molto importante. Ramagli ha si chiesto ai suoi di provare a giocare con continuità questo tipo di situazioni, ma è stato bravo Boniciolli a tenere pressione sulla palla, inseguendo col difensore sul “riblocco” del lungo, aiutando forte col difensore lato debole, riempiendo l’area e lasciando poco a quelle iniziative che sono linfa per giocatori come Michelori, Rosselli (per trovare gloria solo isolamenti per lui) e appunto Lawson.

La panchina più lunga ha permesso poi di non abbassare il ritmo su questo tipo di sistema difensivo, molto dispendioso perché costringe la squadra ad entrare presento in rotazione difensiva, e che se letto coi tempi giusti può lasciare spazio a penetrazioni al ferro. Questo, però, di fatto non ha permesso alla Virtus di entrare con continuità nel proprio sistema offensivo, difatti in avvio di partita ci sono voluti parecchi minuti per capire come risolvere un rebus comunque già visto a gennaio.
Non è mai arrivato il colpo del KO, mutuando le parole di Boniciolli perché la truppa di Ramagli non è prima per caso. Va detto, però, che un vero playmaker avrebbe aiutato e non poco a trovare contromisure idonee fin da subito, perché Spissu è bravo ma fatica in certe letture (come Candi che spesso e volentieri ferma il palleggio quando c’è aggressività) e Spizzichini è tutto ciò che di buono c’è nel basket ma non è di certo un fautore del bel gioco. Di fatto Boniciolli ha colpito laddove la Virtus era più fragile, nella costruzione del gioco, togliendo fin da subito certezze (senza mani addosso o pressing) speculando parecchio sulle caratteristiche perimetrali di Ndoja (3/10 al tiro), Rosselli (1/7 da tre punti) e Bruttini (lasciato completamente libero sul tiro in due occasioni per proteggere l’area) con la ciliegina sulla torta di aver invece pasteggiato nel pitturato (cit.) con Knox e Gandini, abili sullo “show” difensivo bianconero con degli “short roll” a raccogliere punti o regalando assist ai compagni con extra passaggi che hanno, giocoforza, costretto la Virtus a ruotare o a raccogliere la palla in fondo la retina.

La partita di ieri, per come ha giocato la Fortitudo sia davanti che dietro, va classificata come un autentico capolavoro. Lo fu anche il 6 gennaio scorso, ma passò inosservato perché l’invasione di campo aveva i colori bianconeri. Oggi i toni sono diversi. Chapeau Matteo, complimenti a te e allo staff.

(Foto Fabio Pozzati)

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