LA FOSSA E L'INNO NAZIONALE
Sono quattro anni che è stata introdotta, discrezionalmente, l’abitudine di suonare l’inno nazionale italiano prima delle partite di basket.
Sono quattro anni che puntualmente intoniamo, durante l’esecuzione dell’inno, cori per la Fortitudo.
Perché lo facciamo?
Perché non ci sentiamo italiani?
Perché ci vergogniamo di essere italiani?
Perché non amiamo il nostro Paese?
Assolutamente NO!
Proviamo a spiegarci una volta per tutte. Per fare ciò, permetteteci di fare un piccolo excursus; per spiegarvi, scusate la supponenza, origini, significati e sentimenti che hanno portato -nel 1946- la neonata Repubblica Italiana, a scegliere questo brano come inno nazionale.
Il testo fu scritto nel 1847 da un genovese, Goffredo Mameli e, un altro genovese, Michele Novaro, lo musicò. Sono gli anni del Risorgimento, che porteranno l’Italia all’unificazione.
In quel periodo storico l’inno fu adottato dai combattenti del Risorgimento. A noi “moderni” il testo potrà sembrare retorico e la musica una marcetta non troppo solenne; ma quel testo, appassionato e spontaneo, composto da un giovane combattente per la libertà, sembrava simboleggiare la giovane Italia che si stava formando. Per cercare di entrare in “quello spirito” bisogna soffermarsi sul testo.
Il testo è pieno di riferimenti storici. Tratta dell’epoca romana, critica un’Italia ancora divisa, Dio viene invocato come garante dei popoli oppressi, si richiamano epiche battaglie e condottieri, dalla Lombardia alla Sicilia, passando per Firenze e, infine, si cita un’insospettata “unità d’intesa” con la Polonia, allora anch’essa oppressa dall’Austria. Queste quattro righe non hanno la presunzione di spiegarvi il significato dell’inno, l’obiettivo del comunicato è altro, ma cercare di capire quanto è profondo il significato intrinseco delle parole usate da Mameli. I continui richiami alla fede, alla vittoria, alla liberazione dall’oppressore, a tutta una serie di valori che oggi -non a metà dell’800- sembra non abbiano alcun significato. Non pensiamo di essere laureati, difatti non lo siamo, o persone migliori di altre oppure “nel giusto” a prescindere; ma per noi suonare l’inno prima di una manifestazione sportiva ove non gioca la rappresentativa italiana -la Nazionale- ci sembra una mancanza di rispetto verso quel testo di cui, sinteticamente, abbiamo parlato prima.
Se osserverete gli atteggiamenti del corpo degli atleti e degli spettatori potrete notare alcune cose: i primi la cui maggioranza, nel basket come nel calcio e molti altri sport di squadra, sono di passaporto non italiano verso l'inno chissà quale interesse potranno avere? Gli spettatori invece, magari la prima volta potranno alzarsi anche in piedi; poi, con il passare del tempo, saranno indaffarati a chiacchierare con il vicino, a giocare con il telefonino, etc. etc.
Perché colpevolizzarli? Si è voluto trasformare un momento solenne e significativo in una canzoncina, uno stacchetto musicale che introduce lo spettacolo vero e proprio, la partita.
Abbiamo visto le Olimpiadi a Rio e vogliamo porvi una domanda: l’emozione provata vedendo la bandiera italiana, con sottofondo l’inno di Mameli, che saliva, in mezzo ad altre due bandiere, sopra l’atleta -o la squadra medaglista- è la medesima che provate durante l’esecuzione dello stesso prima, chessò, di Arzignano–Costa Volpino o Fortitudo–Piombino?
Se non vi assale la tipica ipocrisia italiota, la risposta è scontata… NO! Ma, purtroppo, in Italia c’è sempre qualche ipocrita pronto a strumentalizzare senza sapere o approfondire.
Allora via… con telecronisti che parlano di fischi durante l’esecuzione dello stesso, la Federazione Pallacanestro che prova a comminare multe per il suono di tamburi -vedi Treviso- nemmeno presenti, benpensanti che ci accusano di scarso patriottismo.
Beh, non ci stiamo! Non siamo ipocriti, siamo italiani e, vedendo tali manifestazioni intrise d’ipocrisia, protestiamo. Come? Abbiamo provato a spiegare a chi di dovere -vertici Lnp e, ad alcuni dirigenti FIP- le nostre tesi, qualcuno le ha condivise; ma non ha fatto nulla anzi, da quest’anno, la discrezionalità è diventata obbligo con relativa multa. Strano… Coincidenze? Mah!
Allora abbiamo attirato l’attenzione nell’unico modo possibile per sollevare la questione, non essendo irrispettosi, mai abbiamo fischiato durante l’esecuzione né impedito ad altri di fare ciò che vogliono, bensì ci abbiamo cantato sopra, per svegliare gli ottusi e gli ipocriti che pensano di cantare l’inno e sentirsi più italiani! No, non funziona così.
Per le poche cose suddette noi pensiamo che l’inno debba suonarsi solo in competizioni ove il nostro Paese, singolarmente o di squadra, sia rappresentato.
In un’Italia unita da poco più di 150 anni, piena di campanilismi, con un passato feudale, ricca di dispute regionali e politiche, anche sull’inno stesso, suonarlo in manifestazioni sportive a carattere locale sarebbe una mancanza di rispetto allo spirito che ne diede la luce.
Non siete convinti delle nostre motivazioni? Spiace; ma questa è la nostra verità, sono le nostre ragioni, senza ipocrisie o strumentalizzazione alcuna.
Per “domarci”, come dicevamo prima, lo hanno introdotto obbligatoriamente; restando in tema di ipocrisie italiote, chi ci vieta di pensare che sia un’altra buona occasione per strumentalizzare una tifoseria, facendo contestualmente cassa?
P.S.: la lega calcio di serie A non lo ha adottato, optando per un inno “personalizzato”. Loro ci sono arrivati…
Nota storica: Nel 1946 la neo costituita Repubblica Italiana adottò provvisoriamente l’inno; ad oggi -nonostante le varie proposte di legge- nessun decreto parlamentare lo ha fatto diventare ufficiale, causa ostracismi di qualche partito.

E DUNQUE SAREMMO NOI GLI ANTI ITALIANI?

Il Direttivo
Fossa dei Leoni 1970


(Photo by Fabio Pozzati / Iguana Press / Fortitudo Eternedile Bologna)

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